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US Open, Djokovic-Medvedev per il titolo: dove vedere la finale in tv e streaming

A Flushing Meadows Novak Djokovic e Daniil Medvedev si giocano il titolo agli US Open, in quello che sarà il remake della finale del 2021 vinta dal russo, nell’anno in cui Nole fu a una vittoria dal Calendar Grand Slam. Due anni dopo, Djokovic va a caccia del 24esimo Major in carriera, mentre Medvedev vuole mettere il sigillo su una stagione in cui ha già vinto cinque titoli ATP. La finale è in programma alle 22.00 italiane, in diretta su SuperTennis (canale 212 del telecomando Sky)

Come nel 2021, ma con un Calendar Grand Slam che (forse) non tornerà più: rivedere Novak Djokovic e Daniil Medvedev in finale agli US Open dà la sensazione di un dejavù, ripensando al tennis di due anni fa, praticamente orfano di Alcaraz, con un Sinner ancora molto acerbo e con Zverev nel ruolo di terzo incomodo, fresco di medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo e senza caviglia rattoppata – e per questo bionica. Nel mezzo lacrime, deportazioni dall’Australia, finali Major perse da due set a zero di vantaggio, gli Stati Uniti che proprio non mandavano giù Novak il No-vax, una top ten “gattopardesca”, che è cambiata senza mai veramente cambiare e la sensazione che, almeno sul cemento, gli uomini da battere siano rimasti comunque loro due: Nole, l’uomo bionico e Daniil, il “polipo”. 

Djokovic, un cammino agevole verso la finale

l cammino di Djokovic verso la finale è stato oggettivamente agevole. Muller, Zapata Miralles, Djere, Gojo, Fritz (unico top ten di questa lista) e Shelton: in sei, alla vigilia vantavano un unico Masters 1000 (Fritz) e due quarti di finale Slam (Fritz e Shelton). Più che in termini di tennis, il serbo ha rischiato l’eliminazione soltanto contro il caldo, precisamente contro l’afa soffocante che ha avvolto l’Arthur Ashe durante la partita di terzo turno contro Djere, portando Novak a dover rimontare da due set a zero di svantaggio per l’ottava volta in carriera, la quarta negli ultimi tre anni. Alzi la mano chi, però, ha davvero pensato che Nole potesse davvero perdere contro il connazionale Laslo, malcapitato quasi più nel momento in cui si è trovato così avanti nel punteggio che non durante la foto pre-partita.

In semifinale Djokovic ha regolato l’esuberanza di Shelton con autorità e senza troppa ammirazione per il rampante statunitense. Troppo irritanti le urla e le “facce da poker” di Ben sugli errori di Nole? Meglio “punire” il ragazzo imitandone l’esultanza e “riagganciando la cornetta” di chi pensava di essere arrivato troppo in alto e troppo presto. Vien da pensare che con un po’ di disciplina tattica, Shelton avrebbe potuto quantomeno strappare un set a Djokovic: leggere fin da subito un servizio mancino costantemente sopra i 240 km/h è impresa difficile per chiunque e con il dritto si sono viste fiammate degne di Nadal e Del Potro. Attenzione, però, a non lasciarsi irretire dalla straordinaria tentazione di vivere il tennis sempre sul filo di anarchia tattica ed emozioni esasperate. Altrimenti il risultato sarà sempre finire nella trappola di chi ti ruba le gambe e l’anima, preferendo la concretezza ai fuochi d’artificio fini a se stessi per raggiungere la trentaseiesima finale Slam, la decima agli US Open.

Medvedev, il ritorno di “octopus”

Quanto a Medvedev, probabilmente ripensandoci sarebbe stato giusto concedergli un po’ più di favori di pronostico contro Alcaraz. Il Daniil che nove mesi fa perdeva al terzo turno agli Australian Open da Sebastian Korda e lasciava, anche se soltanto per un paio di settimane, la top ten, è ormai un ricordo sbiadito. New York ha ri-consacrato la leggenda di “octopus”, il polpo, come soprannominato da Rublev, che si espande dappertutto in campo coprendo zone sconosciute ai comuni mortali e anche alle leggende in corso come Carlitos, che abdica da campione a Flushing Meadows, sì, ma da chi è già stato re agli US Open, e da numero 1 ATP, sì, ma da chi ha già messo le 400 settimane in vetta alla classifica. Definirlo fallimento sarebbe quantomeno ingeneroso. Il Medvedev che gioca così ha tutto per convertire la terza finale in cinque anni a New York nel titolo Slam numero 2 in carriera e per portarsi a meno di 500 punti nel ranking proprio da Alcaraz. Con un finale di stagione che nel 2022 non fu brillantissimo per entrambi, che sorpresa sarebbe dover tenere d’occhio anche la corsa per chiudere il 2023 da numero 2 ATP.

La 15^ volta tra Nole e Daniil

Djokovic e Medvedev si sono già affrontati ben 14 volte in carriera. Il bilancio complessivo dice 9-5 per Novak, numeri che scendono a 8-4 per il serbo considerando soltanto le partite giocate sul cemento e che, addirittura, si assottigliano a 4-3 sui campi outdoor e a 2-1 nelle finali nel circuito maggiore. Il gap diventa pressoché nullo all’ultimo atto in uno Slam: Djokovic ha vinto agli Australian Open, nel 2021, Medvedev agli US Open, nella stessa stagione. E Novak ne è consapevole: i due match non avevano lo stesso peso specifico. A Melbourne il serbo dominò la partita nonostante fosse menomato da uno strappo agli addominali fin dalla battaglia di terzo turno risolta al quinto set contro Taylor Fritz. A New York, fu il russo ad accettare di buon grado la visione di un Nole paralizzato dalla tensione di essere a una vittoria dal Calendar Grand Slam e, per questo, inaspettatamente umano.

Nessuno si aspettava che Djokovic potesse perdere proprio quella finale lì, avendo tra l’altro rimontato uno svantaggio di due set a Tsitsipas al Roland Garros e avendo distrutto i sogni di gloria di tutta Italia – e soprattutto di Berrettini – a Wimbledon. Eppure, rileggendo la storia, una avvisaglia si era percepita, alle Olimpiadi di Tokyo, con il collasso, fisico e mentale, in semifinale contro Sascha Zverev, in quella che sarebbe rimasta l’unica partita persa dal serbo da set e break di vantaggio nel 2021. Un po’ come una previsione funesta, nella cappa giapponese Nole aveva perso l’unico titolo che gli manca (e forse gli mancherà – Parigi 2024 permettendo) in carriera. Un mese dopo, l’incubo si era materializzato ancora più bruciante a New York. Ed è proprio questo il motivo per cui, questa volta, la bilancia agli US Open oscilla (un po’) di più verso Nole.

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