Dopo un buon inizio di stagione l’argentino Diego Schwartzman è incappato in un paio di mesi brutti, scarsi risultati e poca fiducia nel suo gioco. In un’intervista rilasciata all’inizio della stagione sul cemento nord americano, Diego parla del suo momento, con interessanti riflessioni sul ruolo della nuova regola del coach – sperimentata in torneo sino a fine anno – e anche della sua ammirazione per Roger Federer. Ecco alcuni passaggi del suo pensiero raccolti da ESPN.
“Gli ultimi due mesi non sono stati buoni, soprattutto le performance”, afferma Diego, “molte volte puoi avere delle giornate non molto buone ma ti senti a tuo agio in campo, produttivo. In questi ultimi due mesi mi sono sentito un po’ più a disagio, non è una bella sensazione. Sarebbe molto più facile non dover pensare tanto a cosa fare in campo, entrare in partita e tirare a tutta diritti e rovesci, come tanti nel tennis moderno, meglio se con servizi potenti. Per me non è così, devo pensare un po’ prima della partita e nei giorni precedenti, studiare l’avversario e decidere sulla tattica, cosa farò e come giocherò. Poi molto dipende della superficie, dal luogo e dalle condizioni, devi cambiare un po’ e adattarti. Lo facevo sempre e cercavo di analizzare ogni aspetto, ma quando non ha molta fiducia in campo tutto diventa più difficile”.
“Il coaching? È tema che vede opinioni molto diverse. A volte hai bisogno di qualcosa, il tennis è uno sport molto solitario. Alcuni sono contrari al coaching, ma mi sembra assurdo che non sia permesso. Prima che venisse introdotta la regola gli allenatori cercavano di farti un segno, sussurrare qualcosa, cercando di non farsi vedere. Ma tutti parlavano, ognuno aveva i propri metodi. Ora, quando sei dalla stessa parte del tuo allenatore, può parlarti senza problemi e credo che alla fine sia una opportunità”.
In chiusura conferma tutta la sua stima per Federer, tennista che considera complessivamente il migliore, oltre i puri numeri. “Se si vuol guardare alla faccenda del migliore con la somma dei titoli, allora basta fare dei calcoli numerici. Per me essere il più grande implica altre cose, in campo e fuori dal campo. Per questo rimango dell’idea che il migliore sia Roger. Penso che sia quello che risveglia di più nelle persone. Il modo in cui gioca è unico, e poi per quello che è come esempio, giorno per giorno, anche nella sua vita privata. È cordiale con tutti, può parlarti in spagnolo, con un altro in italiano, con un altro in francese, è bravo in tutto quello che fa. Ha quattro figli, la mattina si allena con te e il pomeriggio si veste di tutto punto per un evento nel centro della città, sempre impeccabile. Non può essere! È diverso da tutti gli altri”.