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Roland Garros, Nadal in finale: Zverev si ritira nel 2° set per un grave infortunio

Non con una affettuosa stretta di mano a rete, ma con Alexander Zverev che, in stampelle e con la caviglia talmente gonfia da non poter neanche mettere la scarpa, riceve l’ovazione di un Philippe Chatrier che non ha parole o applausi sufficienti per togliergli un peso dal cuore. E’ finita così la prima semifinale dell’ezdizione 2022 del Roland Garros. E neanche Rafa Nadal, che ha raggiunto la quattordicesima finale parigina in carriera nel giorno in cui ha compiuto 36 anni e che domenica giocherà per mettere il ventiduesimo Major in bacheca, sa bene cosa dire o come sentirsi, perché nessuno mai vuole vincere una semifinale in uno Slam così, non per meriti, ma per un destino straziante, cattivo e crudele. Soprattutto crudele. 

Prima che il tedesco si slogasse la caviglia, a tie-break acquisito nel secondo set, in una partita forse non sempre spettacolare, ma molto vibrante e che stava andando avanti da tre ore, Nadal e Zverev stavano battagliando alla grande, tra di loro e con se stessi. Rafa aveva vinto il primo set, nonostante una condizione fisica non esaltante, Sascha aveva reagito recuperando due volte un break nel secondo parziale, prima di andare lui avanti 5-3 grazie a uno smash di Nadal volato in tribuna. Sul più bello, però, il tedesco si era incartato: tre doppi falli, una serie di scelte tattiche sciagurate e una partita che sembrava destinata a durare a oltranza. Anche nel primo set Zverev aveva pasticciato non poco: era stato avanti 4-3 e servizio contro un Nadal che aveva interpretato male il match, tradito da energie fisiche che andavano e venivano. Poi, però, al tiebreak lo spagnolo si era dimostrato il caterpillar che è sempre stato in carriera, con un ace e un passante di dritto a salvare due set point dal 6-2 e un altro passante di dritto devastante per prendere il comando di una semifinale da cardiopalma. 

Le analisi tattiche, però, sono inutili quando una partita non arriva alla naturale conclusione. Rimane soltanto da chiedersi quale sia l’insensato disegno divino secondo il quale Zverev, che è stato due set a zero in vantaggio su Dominic Thiem in finale agli US Open 2020, che è stato in vantaggio anche di un break sul 5-3 nel quinto set e che è andato a due punti dalla vittoria nel game successivo, prima di essere anche sopra 2-0 nel tiebreak decisivo, ora che era un serio candidato per arrivare in fondo al Roland Garros, 629 giorni dopo quella notte da incubo, sia stato tradito da una caviglia che, dovesse essere malconcia anche nei legamenti, lo costringerebbe a stare in panchina per molti mesi. Le lacrime, sgorgate sul volto negli instanti immediatamente successivi alla caduta, sono state subito il segnale che il match era avviato verso una mesta conclusione. Il rientro in campo, semplicemente per dire grazie all’arbitro e per scusarsi con Rafa per il ritiro, sarà, con tutta probabilità, l’immagine più brutta e al tempo stesso più intensa di questa edizione al Roland Garros. L’insegnamento di vita che deriva da una tale partita è terrificante per realismo: oggi c’è tempo per realizzare i propri sogni, domani forse no. Però il destino non dovrebbe accanirsi con chi ha già paura di vincere nella vita. “Perché io mi ritiri da un match, devo avere una gamba rotta”, disse in un’intervista post-partita Zverev durante l’ATP 250 di Colonia a ottobre 2020, per rispondere a chi gli aveva chiesto come mai lui stringesse sempre i denti e giocasse sul dolore. Alla fine il peggior incubo di Sascha si è avverato.

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