Uno dei dibattiti mai risolti nel mondo della racchetta è sul peso dei vari fattori decisivi al successo di un giocatore. Se la grande prestazione con vittoria equivale al 100%, quanto pesa la parte atletica? Quanto quella tecnica e/o tattica? E quanto quella mentale? Ogni allenatore, giocatore o semplice osservatore ha la sua “torta”, con le fette distribuite in percentuali variabili. Si possono trovare i pareri più disparati, ma su di un aspetto tutti sono concordi: la percentuale da attribuire alla testa, alla forza mentale e capacità di giocare bene nei momenti importanti è importantissima. Predominante sugli altri aspetti.
Perché questa premessa? Beh, dopo aver visto la “sciagurata” sconfitta di Denis Shapovalov oggi a Dubai, come non ripensare a quest’aspetto nel tennis del talento canadese, e nel tennis in particolare. Stiamo vivendo una settimana indimenticabile per i nostri azzurri, con un buonissimo Sinner proprio a Dubai – sconfitto solo dallo scatenato Karatsev, in lotta in questo momento sul fortissimo Rublev nei tornei 500 – e Musetti che ci sta facendo sognare in notte magiche dal lontano Messico. Sia Jannik che Lorenzo hanno costruito le loro buonissime prestazioni grazie ad un forza mentale notevolissima. Quella che ha portato l’altoatesino a “stroncare” la resistenza di un lottatore come Bautista Agut e reggere bene contro il russo, che pare camminare sulle acque in questa prima parte di stagione… E quella che sta consentendo al toscano di superare, match dopo match, i propri limiti, esplorando territori nuovi pur non avendo giocato sempre a tutta. Soprattutto nella sofferta vittoria vs. Tiafoe (il giorno seguente ad una grande impresa), Lorenzo ha giocato tutt’altro che “bene”. Ha avuto pause, ha sbagliato tanto col diritto e servito maluccio, è andato sotto di brutto ma… nella sua testa è scattato qualcosa. Si sentiva bene, presente, attivo nell’aria frizzantina a due passi dall’oceano. Quel campo gli piaceva, le condizioni, l’atmosfera (forse anche per la presenza del pubblico, che ti dà sempre qualcosa), l’occasione di potersela giocare in un palcoscenico così importante. Ok, non tutto funzionava alla perfezione come il giorno prima vs. Schwartzman, ma la testa diceva forte e chiaro “non voglio perdere, non perderò”. Aggrappato alla partita, alle sensazioni positive, la testa lo ha fatto reggere, sprintare, crederci sino alla fine, rimontare anche nei momenti più duri, quando tutto pareva perduto. E vincere. Questa è una qualità decisiva per diventare un grande giocatore, sentire il momento, vincere i punti importanti, tirare fuori il meglio nei momenti caldi del match. Bravo Musetti!
E oggi invece Denis? L’esatto contrario. “Shapo” è un talento clamoroso, è show-time puro, è l’essenza dell’adrenalina che si può esplodere giocando a tennis, con giocate che solo i suoi occhi riescono ad immaginare e traiettorie che sfidano senza mezzi termini le leggi della fisica applicata al tennis. E lui, con quella strafottenza tecnica e visione, ce la fa. Riesce a trovare colpi e vincenti che la maggior parte dei rivali non osano nemmeno immaginare. Però… alla fine, butta via partite come quella di oggi, avanti un set e 4-3 e servizio, contro un avversario buonissimo e molto positivo, ma che aveva già la faccia di chi aspetta il match point per stringere la mano al rivale e correre a festeggiare la semifinale più importante in carriera con la sua bellissima fidanzata… Denis, dal nulla, senza la pressione del rivale, senza un motivo logico, ha “buttato alle ortiche” una partita stravinta, sparacchiando per 10 minuti scarsi pallate out senza una logica, senza un pensiero, senza riuscire a tornare mentalmente nella partita. Divorato da una tensione che non si avvertiva, ma che evidentemente lo divora dentro e non gli permette di esprimere con serenità e lucidità un tennis “pratico” quando c’è da chiudere “la pratica”. Purtroppo non è la prima che gli succede, che arriva un blackout micidiale a rimettere in discussione partite in cui è superiore e che potrebbero essere vinte senza così tanti patemi. Stessa cosa nel tiebreak decisivo, Harris ha servito bene, ma lui ha preso dei rischi eccessivi, e nel momento decisivo ha scelto di posizionarsi totalmente esterno da destra al servizio senza riuscire ad aprire così tanto l’angolo, pure pizzicando il diritto del rivale con il campo sciaguratamente aperto. Lloyd ha avuto buon gioco nel prendersi un rischio che gli ha regalato la vittoria più importante in carriera, con l’approdo in finale in un ATP 500. Applausi Lloyd!
È un’analisi dura su Denis, lo ammetto. Ma da un talento così grande, ci si aspetta ben altra sostanza. Da un tennista con mezzi così impressionanti sul piano tecnico e fisico, ci si aspetta un salto di qualità sul piano agonistico che vada oltre alle mezz’ore “on fire” in cui tutto gli entra, tutto gli riesce in uno stato lo flow totale, sbaragliando chiunque gli passi di fronte.
Shapo è un gioiello purissimo, uno dei favoriti del pubblico perché quando gioca lo show è davvero assicurato. Ma a dispetto di suoi colleghi ex next-gen, stenta terribilmente a trovare quella sostanza necessaria a fare il salto da potenziale a realtà nei grandi tornei. Ho sempre pensato che avendo quel tipo di gioco e quel tipo di atteggiamento, la sua maturazione sarebbe stata lenta e perigliosa. Così sta andando. Il processo è in corso e niente è perduto. Però è corretto sottolineare che di grandi passi in avanti per ora, sul piano mentale della solidità-sostanza-resistenza alla pressione, non se ne vedono tanti. Incanta quando il rischio è premiato, delude quando cade preda dei suoi buchi, spesso davvero inspiegabili per il contesto tecnico e tattico del match, a volte pure contro rivali “alla portata”. Oggi più che un contender per i grandi tornei, è un tennista da highlights.
La speranza è che riesca a lavorare su se stesso (anche fuori dal campo) per trovare una solidità e consapevolezza che gli consenta di reggere la pressione ed esplodere finalmente i suoi mezzi nelle grandi occasioni e con continuità. Non avere uno Shapovalov in corsa per gli Slam con vari Tsitsipas, Medvedev & C, sarebbe davvero un peccato…
Marco Mazzoni