Miami, Montecarlo, Madrid, Roma. Quattro punti cardinali sulla strada della gloria. Alexander Zverev, il secondo più giovane a giocare quattro semifinali consecutive nei Masters 1000, sa come si vince. Alla sua età, Federer e Murray avevano ottenuto meno di lui nei grandi tornei.
Il percorso agli Internazionali BNL d’Italia, la seconda finale di fila al Foro Italico, ne esalta i progressi rispetto a dodici mesi fa. Miglioramenti che rimangono al di là della sconfitta contro Nadal che ha interrotto una striscia di 13 vittorie consecutive. E si vedono nella rapidità con cui ha messo il primo paletto della sua personale rivoluzione francese alla Porte d’Auteuil, a cinquant’anni dal maggio francese e dal primo Slam dell’era Open.
Allora, non c’erano aerei ma solo barricate, la benzina era razionata e i telefoni non funzionavano. I poliziotti spaccavano le teste dei manifestanti, scriveva Rod Laver, e per i giovani vedere qualcuno che invece colpiva una pallina con una racchetta costituiva un’ossigenante distrazione. Quel torneo, in dubbio fino alla fine, si chiuse insieme agli scioperi e alle manifestazioni più calde. I giornali poterono raccontare il trionfo di Nancy Richey, che riuscì a telefonare a casa dopo la finale.
Oggi, l’immaginazione al potere è solo quella di una generazione di giovani promessi campioni che bussa alle porte del paradiso. I 10 successi su 15 partite finite al set decisivo in stagione raccontano solo una parte della storia del più iconico dei talenti del tennis che verrà. Rispetto all’anno scorso, quando rappresentava l’icona della Next Gen da cui è uscito nel 2018 per sopraggiunti limiti di età, Zverev ha aumentato la tenuta perché ha ridotto la lunghezza degli scambi.
A Roma, contro Edmund, il 60% degli scambi si sono risolti sotto i cinque colpi. Una percentuale rimasta sopra il 50% anche contro Goffin. Il suo rendimento, in fondo, dipende più da lui che dalla superficie. Per lui, spiega, è più questione di prendere il giusto ritmo, perché la completezza non gli manca di certo. Merito di una prima più incisiva, e il trionfale cammino nella Scatola mai così Magica come quest’anno a Madrid chiuso senza mai perdere il servizio, marca con la forza di una rivelazione la differenza di questo Zverev 2.0.
L’anticipo che riesce a conquistare grazie a un servizio più propositivo è condizione necessaria per un maggiore sfruttamento dell’ampiezza. Il risparmio di energie che ne deriva aumenta le risorse da spendere quando è costretto a difendere. Il tedesco si sta evolvendo nel perfetto interprete di un tennis più propositivo, anche sulla superficie più lenta. Su quella stessa superficie che l’aveva visto raggiungere la finale al Roland Garros junior del 2013 e la semifinale di Amburgo l’anno successivo. Ma tra quel giovane talento e il campione che ha vinto Monaco di Baviera e Madrid, raggiunto la semifinale a Montecarlo, che ha accarezzato la possibilità di rimontare Nadal sul Centrale del Foro, la differenza salta agli occhi.
Nadal, capace come nessuno di adattarsi senza snaturarsi, ha continuato a dominare negli scambi brevi. Zverev, che ha usato con sempre maggiore fiducia il rovescio lungolinea, ha tenuto sempre meglio con l’allungarsi degli scambi. Una qualità nella tenuta figlia di quella diversa posizione in campo, di quei colpi meno arrotati, soprattutto dalla parte del rovescio, con cui costruisce il suo stile.
Nei 29 vincenti e nei 37 punti in risposta al debutto a Parigi su Berankis si racchiude la convinzione con cui oggi Zverev tende ad assumere il controllo del gioco, indipendentemente dalla superficie e dall’avversario. “Voglio procedere partita dopo partita, poi vediamo come va” ha detto alla vigilia del Roland Garros. “Quando negli Slam ho pensato troppo in là, ho perso presto. Voglio evitare di ripetere lo stesso errore. Ho il solo obiettivo di giocare il mio tennis migliore”. Al suo terzo Roland Garros, ha intanto raggiunto il secondo turno per la seconda volta. Non è mai andato oltre il terzo, due anni fa perse contro Thiem, l’unico che abbia battuto Nadal sul rosso nel 2018.
Zverev, quinto giocatore con almeno tre titoli Masters 1000 dopo i Fab Four Rafael Nadal, Novak Djokovic, Roger Federer e Andy Murray, potrebbe diventare il più giovave vincitore del Roland Garros dai tempi del trionfo del maiorchino nel 2007. Una prospettiva di certo ancora poco concreta, un passaggio di tempo nella settimana che vedrà Murray e Wawrinka fuori dai primi 150. Se cinquant’anni fa un tedesco dai capelli rossi, Daniel Cohn-Bendit, lanciava gli studenti verso un futuro diverso, oggi un tedesco biondo come da paradigma può cominciare a lanciare il tennis verso nuove inesplorate destinazioni.