La Reyer Venezia lavora dentro e fuori dal campo per diventare una realtà nella pallacanestro del più alto livello continentale. Lo conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, il sindaco di Venezia nonché proprietario della società dal 2006 Luigi Brugnaro alla penna di Vincenzo De Schiavi per l’inserto time Out della Gazzetta dello Sport.
Ambizioni. Un altro scudetto, perché noi puntiamo sempre al massimo, e poi un giorno, quando ci saranno le condizioni, l’Eurolega.
Livio Proli tifa per Venezia in EuroLeague. Mai dire mai. Intanto faccio i complimenti a Proli e al signor Armani per aver riportato Milano ai vertici in Italia e per la stagione che sta facendo in Eurolega. Per quanto ci riguarda, se si creano le condizioni per crescere anche a livello internazionale, perché no? Dobbiamo però tenere conto delle esigenze della tifoseria: giocare a Treviso sarebbe praticabile, altrove no. Io però punto a costruire il palasport in tempi rapidi, tre anni al massimo e poi dobbiamo consolidare i progetti di cui abbiamo parlato: confermarci ad alti livelli, il vivaio, le nostre mille iniziative, la Reyer femminile che sta andando alla grande.
Palasport. A Venezia permane il problema del palasport e dello stadio. Noi abbiamo investito tanto sul Taliercio e continueremo a farlo ma, come gruppo privato, siamo anche proprietari di un terreno su cui vogliamo costruire una nuova struttura che al contribuente non costerà nulla. Da quando sono sindaco mi sono spogliato di ogni carica che avevo nel club, ora gestito da un trust che deve presentare un progetto al consiglio comunale. Spero lo faccia entro l’estate, i tempi di realizzazione invece, visti i tanti vincoli, non sono facilmente deducibili. Nel frattempo come amministrazione comunale stiamo investendo nell’impiantistica di base.
Struttura. Adesso, nella nostra galassia, oltre a quelle del comprensorio orbitano società di Treviso, Trieste, Padova, Pordenone, Chiusi in provincia di Siena e del Torinese. Noi offriamo un supporto strutturale che società dilettantistiche non possono avere e in alcuni casi anche economico. L’idea è quella di una trasversalità che vada oltre le rivalità sportive a beneficio di 7000 ragazzi, che sono il cuore pulsante del progetto, ma c’è dell’altro. Per esempio la certificazione etica, un’idea di totale trasparenza per dare alle famiglie la possibilità di verificare l’ambiente in cui il proprio figlio fa sport. Noi vogliamo attirare i ragazzi in un contesto sportivo sano in cui vige la meritocrazia: il rispetto dei compagni te lo guadagni in campo sacrificandoti, imparando a vincere, a perdere e a rialzarti. L’ambizione non è quella di produrre campioni ma di fare di quei settemila ragazzi dei cittadini. Lo sport come veicolo educativo, questo è il senso.