Dopo 36 anni in bianconero, Mario Rengruber ha concluso il suo lungo percorso all’interno di Pallavolo Padova. Storico collaboratore della società bianconera, ha vissuto ogni evoluzione del club, attraversando epoche, dirigenti, vittorie e cambiamenti profondi. Dalla segreteria del settore giovanile fino al ruolo di addetto agli arbitri per la prima squadra, la sua presenza è stata un punto fermo. In questa intervista, Mario ripercorre i momenti più significativi di un viaggio iniziato nel 1989, tra ricordi, aneddoti e gratitudine in quella che, per lui, è stata una seconda famiglia.
Qual è stato il primo passo che ti ha portato ad entrare nel mondo di Pallavolo Padova?
“Sono approdato in Pallavolo Padova nel marzo del 1989, grazie a Stefano Favaro, ex atleta del Petrarca Pallavolo e mio collega di lavoro. In quel momento mancava un segretario per il settore giovanile e mi chiese se volessi mettermi in gioco in questa nuova esperienza. Avevo appena smesso di arbitrare e accettai con entusiasmo. Da allora è iniziato un lungo viaggio durato ben 36 anni”.
Nel corso di questi anni hai ricoperto diversi ruoli. Come si è evoluto il tuo percorso nella società?
“Per molti anni ho ricoperto il ruolo di segretario del settore giovanile, fino al 2001. Nella stagione 2001-2002 sono diventato responsabile del vivaio, ma nel frattempo non ho mai smesso di occuparmi anche della prima squadra come addetto agli arbitri. Nel 2006 ho dovuto allontanarmi per alcuni mesi a causa di un intervento, ma una volta ristabilito sono rientrato, riprendendo proprio quel ruolo. In quegli anni ho anche condiviso l’appartamento con alcuni ragazzi delle giovanili, e più avanti sono stato coinquilino di coach Simone Roscini, storico secondo allenatore di Padova”.
Quali sono i ricordi più belli che porti con te?
“Le finali regionali vinte con le giovanili, la finale della Junior League, la Coppa CEV conquistata a Padova con la prima squadra. Sono tanti i momenti speciali che porto con me. Ma quello che mi fa più piacere, ancora oggi, è incontrare i genitori dei ragazzi del vivaio che mi ringraziano per quello che ho fatto per i loro figli. È lì che capisci davvero il valore del tempo speso in palestra”.
Tra le tante stagioni vissute con la prima squadra, ce n’è una che ti è rimasta nel cuore più delle altre?
“Credo che la stagione 2004-2005, quella targata Edilbasso&Partners, sia stata una delle più belle. In casa abbiamo vinto tantissime partite e ricordo ancora la vittoria a Treviso, un’impresa. Fu un anno straordinario, con giocatori come Domotor Meszaros, Krzysztof Stelmach, Marco Meoni e Leonardo Morsut”.
Cosa ha significato per te far parte della famiglia di Pallavolo Padova per così tanti anni?
“Ha significato moltissimo. In tutti questi anni ho passato più tempo in ufficio e in palestra che con la mia famiglia. Non sono sposato, ho un nipote, ma davvero ho vissuto più in Pallavolo Padova che a casa. Porto con me il ricordo di tanti collaboratori, tante persone che sono diventate amici, con cui ho condiviso un lungo tratto di vita”.
Hai conosciuto e lavorato con molte persone. Quali rapporti ti hanno segnato di più?
“Sicuramente porto nel cuore il gruppo con cui ho iniziato nel settore giovanile negli anni ’90, i rapporti costruiti con tanti atleti e allenatori. Poi gli anni del Charro Padova e le collaborazioni con numerosi tecnici e dirigenti. Nel corso del tempo mi sono sempre trovato bene con tutti, e credo che il fatto di essere rimasto in società per ben 36 anni ne sia la conferma”.
Hai visto l’evoluzione della società bianconera nel tempo. Come la descriveresti?
“Quando ho iniziato si faceva tutto a mano: tesseramenti, raccomandate, documenti. Oggi è tutto digitalizzato e, sinceramente, se dovessi tornare in ufficio adesso, non saprei da dove cominciare. I regolamenti li conosco bene, ma non saprei più nemmeno come iscrivere un atleta online”.
E la pallavolo come disciplina, com’è cambiata secondo te?
“Da quando è entrato in vigore il Rally Point System è diventato uno sport completamente diverso. Una volta c’erano allenatori che chiamavano time-out anche sullo 0-0, solo perché non gli piaceva come stava giocando la squadra. Adesso non succede più. Una volta tutti sapevano fare tutto: sapevano palleggiare, ricevere, schiacciare. Ora i ruoli sono molto più specializzati. C’è poi più fisicità rispetto al passato. Era raro trovare giocatori davvero alti. Un atleta alto un metro e novanta veniva considerato imponente. Oggi non basta più”.
Se dovessi descrivere Pallavolo Padova in tre parole, quali useresti?
“Seconda famiglia. Opportunità. Serietà. Chi viene qui ha la possibilità di crescere, se ha la voglia e le doti. L’ambiente è sano, i tecnici sono preparati. L’ho sempre vista così”.
Aneddoto più divertente?
“Ce ne sono tanti, ma la maggior parte sono top secret! Posso dire che una volta i ragazzi delle giovanili facevano i gavettoni alle persone in visita all’Orto Botanico. Avevano le aule studio sopra al Tre Pini, dove c’era la sede del Petrarca. C’era un corridoio con tutte le aule studio, e da lì lanciavano i palloncini pieni d’acqua a chi passava sotto. A volte a preti, una volta addirittura al vescovo!”.
C’è una medaglia o un ricordo che porti con particolare orgoglio?
“La spilla d’oro che ci ha consegnato Sartorati nel 1991, quando abbiamo vinto la Serie C e siamo arrivati in finale alla Junior League, battendo squadroni come Falconara e Milano”.
Guardando indietro, cosa senti di portarti a casa da tutti questi anni?
“Tutto!”.
Hai qualcosa che vorresti dire alla società?
“Alla società dico solo una parola: grazie. Grazie per avermi permesso di far parte di questa storia, per avermi dato l’opportunità di vivere tutto questo. Ho visto questa realtà crescere, cambiare volto, evolversi: da Petrarca Pallavolo a Sempre Volley, fino a diventare Pallavolo Padova. E con lei ho visto passare quattro presidenti: Gino Miatello, Maurizio Sartorati, Fabio Cremonese e oggi Giancarlo Bettio. È stato un cammino lungo, fatto di passione, di sacrifici, di soddisfazioni. Oggi si contano più di 110 sponsor. Trent’anni fa sarebbe sembrata un’utopia. E invece eccoci qui. Più forti e uniti che mai”.