Si definisce “” quella mossa, innovazione o svolta che cambia radicalmente l’andamento di una partita (o, per estensione, di un qualsiasi evento), influenzandone in modo decisivo il risultato finale. Ecco, se mai c’è stato un “game changer” nel volley mercato, è sicuramente quello che sta avvenendo in questa stagione: la prossima sessione di trasferimenti – in realtà già iniziata da tempo – potrebbe davvero segnare l’inizio di una nuova era per la pallavolo mondiale. Il merito, o la colpa, è di due paesi geograficamente molto lontani dal nostro, ma con una gloriosa tradizione sottorete in comune: gli USA nel settore femminile e il Giappone in quello maschile.
Riassumendo per sommi capi: gli Stati Uniti sono universalmente noti per la capacità di schierare nazionali fortissime (quella femminile è campione olimpica in carica) ma anche per la cronica assenza di una lega professionistica a livello nazionale. Per questo motivo le decine di grandi talenti sfornati ogni anno dalle università hanno sempre dovuto cercare sbocchi altrove, arricchendo smisuratamente il patrimonio tecnico dei campionati altrui, quello italiano in primis. Adesso però gli USA un campionato femminile ce l’hanno, anzi tecnicamente ne hanno due (quello della Pro Volleyball Federation è già partito, ma il più interessante, quello targato LOVB, prenderà il via a fine anno) e, a differenza degli esperimenti tentati nel passato, stavolta sembrano avere tutti i mezzi e le ambizioni per fare una concorrenza serrata all’Europa e al resto del mondo, come testimonia il prestigio dei primi nomi coinvolti: Kelsey Robinson, Jordan Thompson, Haleigh Washington, Jordyn Poulter (tanto per citarne alcune).
Apparentemente meno epocale la svolta che prende origine dal Giappone: le squadre di V-League, il massimo campionato del Sol Levante, hanno “semplicemente” deciso di incrementare gli investimenti e aumentare il numero degli stranieri da 2 a 3 per squadra (di cui uno obbligatoriamente asiatico), oltre a tentare di riportare in patria i giocatori più rappresentativi della nazionale, come Ran Takahashi o Yuki Ishikawa. Tutto qua? Sì, ma in un mercato non proprio traboccante di talenti come quello maschile potrebbero bastare 14 stranieri in più a incidere sulla concorrenza globale. Anche perché, contemporaneamente, la Polonia sta riducendo a 14 il numero delle squadre del suo massimo campionato (dalla stagione 2025-2026) e quelle residue saranno ancora più competitive sul mercato, mentre i club italiani potrebbero essere penalizzati dall’introduzione della riforma del lavoro sportivo e, a breve termine, dalla nuova normativa fiscale che non consente più di applicare agli atleti stranieri le norme del “Decreto Crescita”.
Abbiamo chiesto l’aiuto degli addetti ai lavori per interpretare meglio il fenomeno, interpellando alcuni degli agenti più attivi sul mercato, a cominciare da Paolo Buongiorno: “ – spiega l’esperto procuratore – “.
“(nel 2022-2023 quelle impegnate nei campionati di Serie A erano ben 35, n.d.r.) – continua Buongiorno – “.
Nel settore maschile, come accennato, gli argomenti sono differenti: “ – conclude Buongiorno – “.
Un po’ meno ottimista Stefano Bartocci, CEO di Best Sports Management, secondo cui le novità a livello femminile saranno radicali: “(tra cui il nostro Massimo Barbolini, n.d.r.) “.
Quali saranno i riflessi sul nostro campionato? “ – dice Bartocci – “. Al loro posto però, spiega il procuratore, ““.
Nel settore maschile il discorso è radicalmente diverso, come racconta Luca Novi, uno degli agenti più noti a livello mondiale: ““.
“ – continua infatti Novi – “.
Vedremo quindi una Superlega più italiana? “ – risponde l’agente – “.
L’aspetto che crea qualche preoccupazione a tutti i livelli, invece, è quello della riforma del lavoro sportivo e dei suoi costi: “ – dice Buongiorno – “. “ – aggiunge Novi – “. Ma Bartocci lancia un allarme: ““.
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