Non sono molti i luoghi in giro per il mondo capaci di regalare sensazioni così intense in chi li visita. Realizzato con la pietra calcarea tipica del territorio, Rocca Calascio, nei pressi dell’omonimo borgo in provincia de L’Aquila, svetta sull’altopiano di Navelli e sulla sottostante valle del Tirino dal suo sperone posto a quasi 1500 metri di altezza; costantemente sorvegliato dalle creste del massiccio del Gran Sasso, la montagna più alta degli Appennini.
Una costruzione suggestiva, perfettamente incastonata nel paesaggio roccioso che la circonda, che sin dal medioevo ha avuto un ruolo strategico molto importante, come punto di avvistamento da cui partivano le comunicazioni (di notte tramite l’uso delle torce, di giorno con gli specchi) alle torri e ai castelli vicini. Dai Carapelle, ai Piccolomini, ai Dè Medici, ai Borboni, la proprietà del castello è passata di famiglia in famiglia, di epoca in epoca, senza perdere il proprio ruolo centrale nella vita d’alta quota del territorio, da sempre luogo di greggi, pastori e rotte di transumanza verso la Puglia. Tre i terribili terremoti che in passato ne hanno sconquassato le mura: quello del 1461, che lo danneggiò profondamente; quello del 1703, a cui seguì una parziale ricostruzione della Rocca e di parte del sottostante borgo; e infine quello del 1915, che ne segnò il definitivo declino. Solo in tempi recenti, intorno agli anni ‘90, alcuni restauri conservativi hanno risanato la struttura consentendone il recupero architettonico-funzionale, rendendo il castello visitabile. Restauri che hanno interessato anche parte del borgo storico, in cui sono stati ricavati ambienti funzionali, come il suggestivo rifugio-ostello-ristorante.
Ed è proprio dal vecchio borgo che, lasciata la macchina nei pressi di via di Pizzo Falcone, inizia la salita alla Rocca. Qualche breve info pratica: dal parcheggio posto all’inizio di via di Pizzo Falcone, al borgo, si percorre una strada asfaltata di circa 3 km; dopodiché, si prosegue in salita attraverso una sterrata, all’inizio della quale, un’indicazione sentieristica azzarda una percorrenza di 20 minuti fino alla Rocca; meglio metterne in conto 30/40, indossare scarpe adeguate e assicurarsi di avere con sé una bottiglietta d’acqua.
È difficile descrivere a parole la meraviglia che si prova tutte le volte che, a mano a mano che si sale, lo sguardo si apre sulle rovine del castello e la distesa di montagnole che rigonfiano come un oceano verso la piana di Campo Imperatore, puntando al Corno Grande. E poco prima della Rocca, praticamente di fianco, ecco spuntare un altro piccolo gioiello che cattura subito l’attenzione: la chiesetta di Santa Maria della Pietà, con la sua inconfondibile pianta ottagonale. Alcuni ritengono che sia stata edificata nel XVI secolo dai pastori locali, come ringraziamento alla Vergine, per aver aiutato i soldati dei Piccolomini a respingere un gruppo di feroci briganti. Altri, invece, la vogliono edificata nel 1451 forse su un progetto del Bramante. Sta di fatto, che per la posizione in cui si trovano, il castello e la chiesa, sono capaci di rimandare con la fantasia ad un’epoca di dame e cavalieri. E non stupisce, quindi, che proprio qui, nei primi anni ‘80 Richard Donner abbia deciso di girare alcune scene del suo cult-movie “Ladyhawke”, con protagonisti Matthew Broderick, Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer.