La pazienza è finita. Troppo forte la pressione per un’attesa infinita mentre il Paese affronta un’emergenza globale, dando priorità, tutte legittime, senza però quella velocità necessaria a risolvere l’enorme mole di esigenze della società civile, commerciale e produttiva. Adolfo de Stefano Cosentino è il presidente, oramai senza più voce per quante volte è intervenuto, di Federauto (oltre che storico concessionario romagno di Mercedes), l’associazione che riunisce appunto le 1.600 concessionarie sparse su tutto il territorio nazionale.
Quelle che garantiscono 80 miliardi di gettito fiscale allo Stato (producendo insieme a tutta la filiera oltre il 10% del PIL) ma che ancora non si meritano un segnale chiaro di attenzione del Governo.
Si riapre il 4 maggio, no, forse il 27 aprile; mentre, nonostante i contatti continui con l’Esecutivo, non c’è nessuna certezza che passi il pacchetto di proposte dell’Unrae arricchite, rispetto al piano base cioè, e defiscalizzazione per le auto aziendali, dalla richiesta di ulteriori incentivi per gli stock invenduti nei piazzali.
Qual è la situazione, presidente?
“Siamo alla canna del gas – dice senza preamboli de Stefano Cosentino utilizzando una metafora forte, ma estremamente chiara -. Quando si va in arresto cardiaco, la rapidità dell’intervento è fondamentale. Più è lenta, più si rischiano danni al cervello. Tornando a noi, un conto è parlare di 15, 20 giorni di stop, ma ormai siamo arrivati a superare i 50. E non parlo solo di noi concessionari. È stata fermata l’Italia che lavora, non discuto i motivi, prendo atto di una realtà, ma bisogna anche capire che ogni settore ha le sue caratteristiche e per rimetterlo in moto, vanno prese in considerazione le esigenze specifiche. Mi spiego meglio: la nostra attività ha solo costi fissi, che non si modificano nemmeno in questa situazione e con ricavi equivalenti in pratica a zero, capirete che il baratro è a un passo. Siamo già tutti in perdita, e i nostri numeri sono numeri alti, pesanti”.
Segnali dal Governo?
“Pochi e confusi. Si sente parlare di una riapertura per lunedì prossimo 27 aprile, ma qualcuno dice che bisognerà aspettare al 4 maggio. Poi arriva il sottosegretario di turno che sostiene che prima di tutto serve attuare un prototollo di sicurezza, per ottenere una patente di “agibilità” tenendo conto che siamo considerati alla stregua dei centri commerciali, cioè oltre i 250 metri quadrati ma senza l’aspetto negativo del grande afflusso di visitatori, piuttosto per l’esigenza di mostrare un prodotto più “ingombrante” di altri. Ma al netto di ricevere indicazioni precise, noi siamo tutti già pronti tra sanificazione ambienti e macchine, pulizie e distanziamento posti di lavoro, da igienizzare giorno per giorno e più volte al giorno, senza dimenticare il kit personale guanti, mascherina ect e il fatto che noi come Mercedes abbiamo sospeso anche i test drive. La realtà è che aprire il 27 aprile o il 4 maggio cambia relativamente. Sì, anticipare ci metterebbe in condizione di lavorare con maggiore tranquillità, ma la sostanza dei problemi resterebbe quella. Diciamo che potremmo sfruttare l’opportunità di consegnare le macchine alle persone che le avevano acquistate senza aver avuto la possibilità di ritirarle. Per il resto, sappiamo bene che ci aspettano mesi durissimi. Vendiamo beni duraturi, che hanno i loro costi e siamo consapevoli che per un po’ di tempo non potranno essere la priorità degli italiani messi a terra da questa emergenza, a meno di specifiche urgenze”.
Un panorama desolante.
“Se vuole continuo, non abbiamo mica finito. Secondo lei, i nostri stock invenduti, sono stati rivalutati o svalutati da questa lunga fermata? Glielo dico io, enormemente svalutati del 20-25% in su. Sui numeri delle vendite, il quadro è abbastanza chiaro. Eravamo al -7% dopo i primi due mesi; a marzo abbiamo fatto -85%, ad aprile arriveremo al -95-97%. Significa che nel primo quadrimestre perderemo già 360.000 macchine, per un -50% rispetto all’anno scorso. E a maggio a dicembre è difficile valutare quanto riusciremo a recuperare se il Governo non si decide a stimolare la domanda. Le previsioni per fine anno variano, tra ottimismo e pessimismo. Alcuni sperano si arrivi a 1.4 milioni, ma più razionalmente sarà già un successo arrivare a 1.1-1.2 milioni, vicini ad un -40%. Considerando che nel 2008 quando ci fu la crisi per Lehman Brothers, il calo di vendite fu del -23% e che in quell’occasione passammo da 2.700 a 1.300 concessionari, non so davvero cosa possa succedere in questa situazione”.
Anche perchè il pacchetto di richieste portato al Governo è onesto, tutte agevolazioni facilmente ripagabili con il gettito fiscale che da sempre garantite allo Stato.
“Il Ministro Patuanelli già voleva intervenire a ottobre perchè aveva compreso le dificoltà del settore. Adesso se vogliamo ripartire ed evitare più di 30.000 disoccupati serve togliere quel malus fino al 31 dicembre, tanto più che il bonus non ha portato incrementi particolari alle vendite. L’estensione degli incentivi fino al 95 gr/km di CO2, senza dimenticare che ci sono 800 fabbriche italiane che esportono in Germania (e non solo). E molte machione non si potranno produrre senza quei pezzi. Ci sarà un grande caos nella distribuzione. Infine, dei 28 paesi europei, ce n’è uno solo che non consente di portare a detrazione tutta l’Iva per le auto aziendali: noi. Vogliamo per una volta adeguarci all’Europa per avere un vantaggio?”. Già, in bocca al lupo.