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La rivincita dell’amico con la villa

Fa comodo, a undici anni o poco di più, avere un amico con un campo da tennis nel giardino della villa di famiglia. Meglio ancora se l’amico si chiama Fritz – di cognome, perché di nome fa Taylor – ed è il figlio fortunato di Kathy May, classe 1956, già top 10 WTA negli anni Settanta, e di Guy Henrique, così bravo come coach da venire nominato “allenatore giovanile dell’anno” nel 2016. Soprattutto, Taylor è il pronipote fortunatissimo di David May, fondatore a Denver nel 1887 del May Department Stores Company, poi trasferito a ovest e fuso 118 anni dopo con Macy’s, popolare catena di grandi magazzini di abbigliamento di qualità e non solo.

Inevitabile che un amichetto così, tanto ricco quanto generoso, si metta prima o poi a organizzare qualche torneo in villa per il gusto di battere i coetanei. Altrettanto inevitabile che Liam Caruana, ragazzino romano catapultato a San Diego a seguito di felici ricongiungenti familiari, si ritrovi, appassionato com’è di tennis, a sfidare Taylor e qualche altro. “È finita che l’ho battuto in finale”, ha raccontato ieri in conferenza stampa mezz’ora dopo la fine del match che li ha rivisti, trascorsi sette o otto anni, darsele di santa ragione a FieraMilano nella seconda giornata delle Next Gen ATP Finals 2018.

Infatti, nonostante il distacco abissale in termini di ranking ATP (46 Taylor, 622 Liam), non è stata una partita a senso unico. L’italiano, 20 anni compiuti in gennaio, s’è preso di forza il primo set e ha combattuto nel terzo e quarto. Deve però potenziarsi muscolarmente e mettere a punto strategie di gioco meno casuali. Ha grinta e voglia di crescere: senza, non sarebbe approdato alle Finals al termine del torneo all italian dello scorso week end: “Voglio arrivare anch’io dove Taylor e Frances Tiafoe, che conosco bene, sono adesso”. Il californiano, 21 anni compiuti da poco, è – come ammette Caruana – “di qualche livello più forte di me” eppure sembra difettare proprio nelle qualità di cui lui dispone in abbondanza. Il confronto andrà probabilmente fatto tra un paio d’anni, quando avranno raggiunto l’equilibrio psicofisico al quale puntano.

Se graficizzato, il risultato di oggi (1-4 4-1 4-3 4-2 a favore di Taylor) potrebbe essere scambiato per l’andamento altalenante dello spread delle ultime settimane nei dintorni di quota 300. Per il tennis che entusiasma a prescindere dalle metafore bisogna però attendere la sessione serale, quando in campo scendono le teste di serie numero 1 e 3, Stefanos Tsitsipas e Frances Tiafoe. Le traiettorie risultano subito più estreme, gli scambi più prolungati, la prevalenza di chi serve più netta, i tocchi sotto rete meno arrischiati. Il greco, numero 15 al mondo, si conferma nel ruolo poco comodo di favorito per la vittoria finale; l’americano, numero 40, ha ancora qualche problema di autocontrollo, alternando sprazzi di classe e vigoria atletica a errori per eccesso di entusiasmo. Il punteggio di 4-3 4-3 4-2 fotografa la differenza di maturità tennistica tra i due (fuori dal campo Tiafoe sembra molto più risolto dell’inquieto collega).

Degli altri due match di giornata, quelli di apertura e chiusura, solo il primo è lungo e incerto. Il polacco Hubert Hurkacz prende il largo, si fa rimontare dal maiorchino Jaume Munar e poi domina il set finale (4-2 4-2 2-4 3-4 4-1). Nel secondo, che finisce in tarda serata, la testa di serie numero 2 Alex de Minaur, diciannovenne australiano di rito spagnolo, contiene il russo Andrey Rublev, già finalista qui lo scorso anno e ancora alla ricerca della forma dopo una sosta di cinque mesi per infortunio. I due non si risparmiano, per la felicità del pubblico. Il ragazzo di origine ungherese, che ha scelto di vivere in Spagna ma ha lasciato il cuore a Sydney, di fatto domina tre dei quattro set: 4-1 3-4 4-1 4-2. Sarà lui, credo, l’antiTsitsi.

La domanda, com’è ormai costume, arriva via Twitter. Si riferisce alle mie considerazioni di ieri sui contenuti agonistico-sportivi di una manifestazione come le Next Gen ATP Finals di  Milano rispetto a quelli delle Nitto ATP Finals di Londra, in calendario la prossima settimana: azzardavo, senza pretese d’essere nel giusto, che un torneo di fine stagione con gli otto giovani più forti del circuito fosse più interessante di uno con i primi otto del ranking globale. Questione di aspettative, me ne rendo conto: io preferirei seguire sabato 10 novembre un’inedita finale Tsitsipas-de Minaur piuttosto che, domenica 18, la quarantottesima sfida tra Federer e Djokovic. Questo lo scambio di tweet con @giovastro73. Lui: “Lei è convinto che, tecnicamente e non per esclusive ragioni anagrafiche, quelli di Next Gen rappresenteranno il tennis del futuro? Io nutro seri dubbi, ricordando che l’anno scorso c’era Quinzi, di cui si sono perse le tracce”. Io: “Quinzi era il qualificato/wild card italiano, dunque non fa testo (è come Caruana quest’anno). Gli altri del 2017, escluso Jared Donaldson, sono ora stabilmente tra i Top 50, anche se Rublev è più indietro dopo l’infortunio primaverile. E tra un anno parleremo di Tsitsi, Tiafoe & C.”. Nel senso: prevedo che in stagione almeno uno dei protagonisti milanesi di questi giorni e due di quelli del 2017 si piazzeranno tra i Top 10. Cosa ne pensate? Chi ha ragione?
Twitter @claudiogiua
 


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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