La seconda volta delle Finals dedicate ai giovani che monopolizzeranno il circuito del futuro sta passando un poco sottotraccia: smaltita l’euforia e scemata la curiosità dell’esordio questa seconda edizione delle ATP NextGen Finals non sembra infatti raccogliere i risultati sperati.
Gli spalti in questi giorni non sono mai apparsi gremiti, nonostante varie promozioni e il tentativo (da applaudire) da parte della Federazione di coinvolgere le scuole tennis: purtroppo però quel pubblico che l’anno scorso aveva salutato le gesta dei vari Coric, Khachanov e Chung, quest’anno non si è visto. Il problema giocatori, prima di tutto: la forza mediatica e non di un torneo è strettamente vincolata ai suoi attori protagonisti e in questo l’anno 1 vince a mani basse il confronto con quest’anno 2. Prendiamo i 4 semifinalisti: tolto Tsitsipas che è già una star del circuito, de Minaur appare come una piacevole scoperta ma sembra mancare di quell’appeal in grado di far appassionare il pubblico, Rublev è un viso già visto (era presente anche l’anno scorso) e Munar non è certo un personaggio. A questo bisogna aggiungere che il pur talentuoso e simpatico Caruana non ha generato la stessa curiosità rispetto al suo predecessore Quinzi.
Le regole inoltre continuano a non convincere: nulla è cambiato rispetto al 2017 e la rivoluzione del gioco proposta da queste Finals continua a sembrare superflua, nel tentativo (non richiesto) di snaturare le fondamenta del tennis e dei suoi incontri.
I forfait dell’ultima ora (Shapovalov e il nostro Moroni) non hanno di certo aiutato ma è evidente che l’interesse in generale sia diminuito e non poco: perso l’effetto novità c’era da aspettarselo, ma il calo è forte, forse più di quello messo in preventivo. Si parlerà di successo, di spalti pieni e di agonismo allo stato puro, qualcosa che io non ho proprio visto e che non può essere sostituito dal buon ambiente e dal divertimento dei tennisti. Il tennis vero per me, è un’altra cosa e il resto nemmeno mi interessa più di tanto. Il rischio è che qualcosa che poteva essere gestita come una boccata d’aria fresca si trasformi in fonte di noia.
C’è qualcosa però che da queste Finals si potrebbe portare a casa come insegnamento: l’aspetto economico in un mondo ricco come quello del tennis non è sufficiente e gli assegni che a Milano possono strappare i NextGen interessano fino a un certo punto (va tutto relativizzato e bisogna pensare che questi ragazzi hanno di fronte a sé anni di lauti guadagni). Assegnare punti potrebbe essere un ottimo incentivo e portare anche i più forti fra le nuove leve: d’altronde, se le Finals ATP dei grandi e i due Master femminili lo fanno, perché le Finals NextGen devono essere rilegate al rango di un’esibizione e di una manifestazione basata solo ed esclusivamente sullo spettacolo? C’è modo di trasformare in tennis questo show (e viceversa)?
Alessandro Orecchio