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Parla Antonello Riva «Il basket italiano è alla frutta. E i giocatori Nba non c’entrano»

Parla Antonello Riva «Il basket italiano è alla frutta. E i giocatori Nba non c’entrano»

Una spietata e realistica disamina del momento attuale della pallacanestro italiana, secondo uno dei suoi protagonisti storici più bravi e più amati, Antonello Riva, che afferma: «L’onore più grande che ho avuto è stato quello di indossare la maglia della nazionale italiana, ma è anche vero che ai miei tempi c’erano figure e ruoli definiti. Quando Rubini parlava era legge. E nessuno fiatava. Non dimentichiamo però che oggi ci sono leggi, norme e contratti di lavoro totalmente diversi rispetto ai miei tempi».

FIP. «Non voglio addossare colpe alla Fip ma non ho mai visto un presidente di una squadra che va a discutere con i giocatori. Il presidente dovrebbe stare fuori da tali questioni. Non ho neanche mai visto un allenatore parlare di simili problemi. Ai miei tempi mai e poi mai sarebbero uscite certe cose sui giornali. Confrontarsi così attraverso i giornali è un errore».

Maglia azzurra. «Non concordo. I colori azzurri devono essere imprescindibili, ma so bene che i contratti di lavoro di Belinelli e Gallinari con la NBA non sono pezzi di carta normali. Parliamo di contratti molto chiari e precisi, con milioni di dollari in ballo. Se ne poteva però parlare qualche mese fa e il caso forse non sarebbe mai scoppiato».

Assi, non assi. «Una nazionale è fatta da 12 campioni, non da quattro, seppur fortissimi. La mia gioia più grande la provai a Nantes, nel 1983, quando vincemmo la medaglia d’oro agli Europei. Bene, in quel periodo in campo c’erano tre, dico tre play che avrebbero potuto giocare 40 minuti. Il partente era Pierluigi Marzorati, però c’era anche Charlie Caglieris che era fortissimo e infine Roberto Brunamonti».

Abbassamento del livello. «Oggi guardo le partite e di italiani in campo ne vedo pochissimi e con limitata esperienza internazionale. Come si può crescere in un simile contesto?».

Settore giovanile e stranieri in C. «Certo, ma con le norme attuali, dalle giovanili al basket professionistico i ragazzi non trovano spazio. Ci rendiamo conto che siamo alla follia se permettiamo la presenza di due stranieri in serie C?».

Problema culturale? «Sì. Non si lavora sulla crescita dei giovani perché non conviene spendere per un settore giovanile che magari ti regala uno-due prospetti interessanti, quando poi con 30.000 euro puoi comprare un giocatore straniero formato e già pronto per la serie A».

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