Due anni all’Enisey di Krasnoyarsk, Strasburgo, Banvit e prima, Turow: tanta esperienza europea per Tony Taylor (28 anni, 1,83, college: George Washington), undrafted nel 2012 e oggi playmaker titolare per la Segafredo Bologna. Le sue prime sensazioni italiane al corriere di Bologna per la penna di Luca Aquino.
Underdog. Sono molto legato alla mia famiglia e da questo punto di vista la cultura italiana mi fa quasi sentire come a casa perché so che anche qui è un valore importante. Sono uno che ha lavorato duro per tutto quello che ho ottenuto e otterrò in futuro. Nulla ini è mai stato regalato, sono sempre stato un “underdog”, quello che non ce l’avrebbe mai fatta, fin da bambino. Sono grato per quello che ho ogni volta che mi sveglio.
Modelli. Nella vita, la mia famiglia. Mio padre e mia madre ci sono sempre stati, mi hanno spinto ad arrivare dove sono ora. Parliamo tutti i giorni anche quando sono lontano. Nel basket? Allen Iverson, senza dubbio. Lui è forse l’underdog degli underdog. Ha sempre giocato con un peso sulle spalle e ha vinto.
Il palleggio incrociato come Iverson. Forse una volta, ma adesso il mio modo di giocare è cambiato. Ero abituato a tirare molto, ma questo non ti fa vincere le partite. Perciò ho adattato il mio gioco, dando più importanza alla difesa, al coinvolgimento dei compagni e a essere un leader positivo in campo. Penso di essere piuttosto lontano dallo stereotipo del play newyorkese e non gioco in un playground dall’ultimo anno di liceo.
Lega A. Per molti di noi è un anno chiave. Conosciamo i campionati europei, non siamo giovanissimi, abbiamo una buona esperienza. Vogliamo vincere più partite possibile.