Per rivivere i ricordi degli anni dorati del Basket Mestre occorre fare un salto indietro di 40 anni. Che proprio bruscolini non sono. C’è riuscito il Panathlon di Mestre che sotto la regia del “padrone di casa” Fabrizio Coniglio e del past president Giorgio Chinellato ha riunito attorno a un tavolo chi negli anni 70 e 80 ha spalancato a migliaia di giovani la porta di un mondo meraviglioso, diventato presto un vero e proprio fenomeno sportivo ma soprattutto sociale. Giorgio Cedolini, Renato Villalta, Ennio Quintavalle, Gianfranco Dalla Costa, Andrea Forti, Roberto Zamarin, uno dei mattatori della serata, e dulcis in fundo Dulaine Harris che da Ginevra è volato al Marco Polo per riunirsi all’hotel Bologna alla pregiatissima compagnia. Una serata indimenticabile in cui i ricordi e gli aneddoti si sono sovrapposti in maniera incalzante in un cocktail di emozioni vissute e raccontate da chi il basket ce l’ha nel cuore.
E per spiegare il motivo per cui il basket 40 anni fa diventò un vero e proprio fenomeno di massa non basta citare i grandi campioni che calcarono il parquet ma occorre allargare gli orizzonti. Quali? Allora Mestre aveva idealmente la carrozzeria di una 500 sgangherata ma il motore di una Ferrari: le migliaia di giovani che vi abitavano. In sostanza il boom del basket coincise con la massima concentrazione demografica di ragazzi, figli del boom economico. E in una città senza una precisa identità, violentata urbanisticamente, e che assomigliava sempre più a quello sgabuzzino dove ci metti un po’ di tutto, il basket finì per diventare l’unico vero punto di riferimento, aggregativo, vincente e di orgoglio per migliaia di giovani. Questo è stato il vero miracolo sociale del basket: occupare mentalmente e materialmente tanti giovani in una città difficile, complessa e allora pericolosa. Esattamente ciò che trasformò i “patronati” di ogni quartiere in una sorta di rumoroso playground dove dalla mattina alla sera si giocava a basket. Ed è ovvio che la quantità portò anche tanta qualità.
Ricordi: Andrea Forti. Eh…ricordi fantastici. Io mestrino fui l’unico o quasi nelle giovanili a non seguire Ettore Messina quando andò a Venezia. Ascoltai mio padre e rimasi a Mestre. Zamarin mi spedì in campo in serie A quando avevo appena compiuto 16 anni e da lì è iniziato tutto. La più bella partita? Beh nel 1981 al Palalido nei playoff contro il Billy Milano di Peterson. Partita memorabile. La Nazionale: capitai in un periodo di grande concorrenza. Nel ruolo di guardia c’erano Roberto Premier e Antonello Riva. In più Gamba, allora coach azzurro, voleva trasformarmi in Dlavmaker. Ci ho provato ma non era il mio pane. E’ andata così.
Ricordi: Dulaine Harris. Perchè saltavo così tanto? Un giorno negli States mi misero degli ostacoli davanti. Scegli, mi dissero. O li salti o…beh decisi che era meglio saltarli. Quando arrivai a Mestre trovai un ambiente fantastico, tutti mi volevano bene. Legai subito con la città. Sarei rimasto volentieri un’altra stagione ma Mangano fece delle scelte diverse e me ne andai. Ma un pezzo del mio cuore è rimasto qui.
Ricordi: Renato Villalta. Non mi sono mai fatto veramente un’idea di quanti fossero…anche perchè non li ho mai visti tutti quei soldi. Allora mi sembrava un sogno ma Mestre mi è sempre rimasta nel cuore. Mi ci portò Giorno, ero poco più che un ragazzo. Prima degli allenamenti mi mangiavo un paio di panini in treno, preparati da mia madre, arrivavo a Mestre e veniva a prenderm i Giorno. Poi via in palestra, allenamento e quindi tornavo a casa, sempre accompagnato da Giorno. Anni ruspanti, forse un po’ improvvisati ma pieni di pathos. I tifosi erano favolosi, ricordo il palazzetto Coni sempre stracolmo. Tutti ragazzi. Che spettacolo.