ROMA – Il concetto è elementare e facilmente riassumibile, da un madre lingua inglese, in quattro parole: “Best in best out”. LeBron James, suprema star del basket americano, trasferitosi quest’anno a Los Angeles, presso i Lakers, non ha dubbi: “Per rendere al massimo delle proprie possibilità occorre immettere nell’organismo gli alimenti perfetti, per qualità e quantità. Solo così, soprattutto ad una certa età (lui ha 33 anni, ndr), solo mangiando il meglio che c’è a disposizione, e secondo una tabella programmata con uno scrupolo maniacale, ripeto, maniacale, si può tirare fuori il meglio”. Da un meglio a un altro meglio insomma, passando per il metabolismo di un corpo umano, anzi i migliori corpi umani disponibili in natura e sul mercato. “Best in”, ossia nutrirsi come il dio dello sport comanda, per arrivare al “best out”, ossia all’esprimere sempre prestazioni di spessore (nei limiti del possibile). E il dio dello sport, lo stesso di prima, sa bene quanto la continuità sia una discriminante assoluta (forse la più importante di tutte) per stabilire una credibile gerarchia dei valori della moderna attività agonistica professionale. Basta guardare Messi o Ronaldo: “I grandi giocano sempre allo stesso modo”, aggiunge LeBron. L’Nba poi è uno snodo cruciale per capire definitivamente (ammesso che ce ne sia bisogno) che senza continuità non si va da nessuna parte: si gioca ogni due o tre giorni e il livello, essendo tutto sommato soltanto in cinque alla volta a stare in campo, va mantenuto da tutti: basta la leggera flessione di un solo giocatore e la resa di un quintetto va a farsi benedire (come per esempio qualche giorno fa è accaduto proprio ai Lakers contro Denver…). Capita anche ai più grandi. Mangi bene, giochi male. Ma non è la regola.
Concetto elementare sì, ma non semplice da realizzare. Questo del contenimento. Del non abbuffarsi. Del sentirsi “in campo” anche a tavola. Bisogna avere testa, bisogna applicarsi tutti giorni, ad ogni ora, senza mai distrarsi, sempre con l’obiettivo davanti agli occhi e nel cuore, perché il professionismo è anche ciò che la gente non vede o, meglio, è tutto ciò che va fatto perché poi la gente ti veda (in campo), gli piaccia e poi decida di tornare, una, due, tre volte, sempre. Ed è con la testa che va scelto il menu, più con la testa che con la pancia o con l’acquolina in bocca, “ma senza rinunciare a prodotti e alimenti che sembrerebbero da evitare”. A cosa si riferisce LeBron? Al vino rosso: “Non mi faccio mai mancare, per cena, un bicchiere di meraviglioso rosso”. Adesso LeBron vive in California ma non è un estimatore esclusivo dei pur fantastici vini californiani (almeno alcuni lo sono).”Una volta assaggiai un sangiovese californiano e mi sembrava di aver bevuto cenere!”. E’ anche un esperto, LeBron: “Un giorno acquistai un Sassicaia del ’97 per festeggiare un amico: spesi 300 dollari”. Poi chiosa. “Ovviamente sono un uomo fortunato e posso permettermelo”. Le Bron ama i bordeaux ma soprattutto è un consumatore di cabernet sauvignon. Non solo tuttavia. Elenca anche le aziende, fra cui spiccano, potendoselo appunto permettere, Rothschild, Latour, e anche Quintarelli col suo amarone. “Staremmo qui le ore se vi dovessi elencare i vini che conservo nella mia cantina. Però attenti ragazzi: un solo bicchiere altrimenti tutti i discorsi sul “regime” diventano inutili! Il vino rosso ha straordinarie proprietà”. Grazie alla sua rigida politica alimentare (“in verità non posso più parlare di dieta ma di ferree indicazioni alimentari ricevute e ormai fatte mie”), LeBron non vede ancora l’orizzonte della pensione, semplicemente perché il suo fisico gli manda segnali contrari: “Avevo 13 anni quando mi resi conto che la strada era questa: prima di tutto lavoro duro, poi match ancora più duri e infine stretching”. Un paio d’anni dopo cominciò a rendersi conto di essere anche, e forse soprattutto, ciò che mangiava. Così ha iniziato a tenersi lontano dalle bevande “artificiali”, dagli zuccheri e dai fritti. Cosa mangia LeBron nei giorni di partita (e anche in quelli di allenamento)?: “Colazione con omelette con bianco d’uova, salmone affumicato, pancake senza glutine e lamponi, pranzo con pasta, salmone e verdure, qualche volta aggiungo un sandwich con burro di arachidi e marmellata, durante la partita, spicchi di mela e burro di mandorle, a fine partita il mio trainer mi fa trovare un frullato di proteine, per cena infine parmigiana di pollo, rucola e il mio meraviglioso e immancabile calice di vino rosso che scelgo sempre io”. Come quando fare canestro.