Splende il sole su Napoli. Sulla città e sulla GeVi, la squadra di basket che dopo due giornate di campionato si gode un avvio fatto solo di vittorie. Federico Grassi, presidente del club, è felice, però si veste anche da pompiere. «In questa città siamo tutti scaramantici, si sa. Evitiamo voli pindarici, godiamoci il momento con la vittoria sui campioni d’Italia di Milano e guardiamo avanti. Sapendo che la strada da percorrere è lunga».
Grassi, la rivoluzione annunciata dopo la travagliata stagione della scorso anno sembra aver prodotto i suoi effetti, non crede?
«A 7 minuti dalla sirena dell’ultima partita a Verona, in quello che era a tutti gli effetti uno spareggio salvezza, dovevamo recuperare 7 lunghezze. Ci siamo salvati e abbiamo dato il via al nuovo progetto, partito da fondamenta solidissime: la chiamata di Alessandro Dalla Salda, uno dei migliori dirigenti italiani. Avevo fatto mea culpa mesi addietro parlando con il Corriere dello Sport. Dicevo che ognuno deve esercitare al meglio il proprio mestiere. Le scelte tecniche spettano ai professionisti. Così la squadra l’ha costruita Llompart, il nuovo direttore sportivo, in accordo con il tecnico Milicic».
Conosceva il nuovo coach?
«Di persona no. Però avevo visto giocare la nazionale polacca, a lui affidata, molto bene. Abbiamo fatto la scelta giusta. Vive il basket 24 ore su 24, con passione e profonda conoscenza. E ha coinvolto la squadra. Se l’allenamento non va come pensava, si rimane in palestra. Nessun fiato dai ragazzi, ma voglia di correggersi».
Ora pensate in grande?
«Vogliamo raggiungere una salvezza tranquilla. Magari se ci sentiamo tra un paio di mesi la penseremo diversamente…»
Se la GeVi fosse retrocessa, avreste lasciato?
«No. Avevamo contemplato la possibilità di scendere in A2 quando era una delle opzioni dell’ultima giornata del campionato passato. Sarebbe stata dura, avremmo dovuto ridiscutere gli investimenti, gli obiettivi. Ma i miei soci ed io non ci saremmo tirati indietro perché questo club, ora, è patrimonio della città».
Meritereste un impianto degno di Napoli e della passione della gente, vero?
«Contro Milano abbiamo avuto un tutto esaurito da 3.900 posti già dal giovedì prima della gara. Bellissimo, è stata la prima reazione. Poi è salita la rabbia. Avremmo potuto vendere 8.000, forse 10.000 biglietti vista la richiesta. Noi soci siamo industriali, chiaro che guardiamo all’ipotesi di avere un impianto almeno con il doppio della capienza del PalaBarbuto. Abbiamo delle idee in proposito. Intanto stiamo cercando di rendere più confortevole il campo dove giochiamo e ne abbiamo ottenuto la gestione per due anni».
Dopo lo scudetto del calcio la città sogna. Pronti a recitare un ruolo da protagonisti?
«Con una casa adeguata e un progetto serio dico di sì. È stata costruita la squadra che volevamo: aggressiva, divertente, in grado di entrare nel cuore dei napoletani e far riaccendere la fiamma della passione. Sono state fatte scelte ponderate. Non ci siamo fatti prendere dalla fretta ed abbiamo avuto ragione. Tyler Ennis è arrivato da poco ma è stato un gran colpo, impossibile a luglio. Gli altri sono tutti funzionali. Owens ad esempio vola, come la squadra».
Eppure dopo l’annuncio estivo del nuovo progetto un po’ di scetticismo aleggiava nell’aria. Perché?
«La gente era bruciata dalle scorse stagioni, quando alle belle parole erano seguite tante difficoltà. Ci hanno annusato, studiato. L’accordo con Dazn, che trasmette le partite del nostro campionato, ci porta nelle case di tanti napoletani tifosi del calcio che si sono divertiti guardandoci. Si è creato un clima di grande entusiasmo, lo percepiamo. Io però faccio il pompiere. Ci siamo scottati e i segni di quelle bruciature li portiamo addosso e servono da monito. Ora non vogliamo più sbagliare».