Capita ad entrambi, da ormai due anni, che quando chiudiamo la conversazione, poi finiamo col pensare dove fossero le domande e quali fossero soprattutto le risposte. Mi capita perché con Davide Cester mi confronto, non domando, creando una sorta di flusso di coscienza mia e suo che ci porta poi a parlare di pallavolo, di vita, di noi.
C’è tutto quello che desidero in Davide, c’è tutto ciò che spero nel Cester attuale: le origini in una scuola di vita, il successo, la caduta, la rinascita, la redenzione. Non posso non essere un sostenitore di un ragazzo come lui che non gioca nelle squadre che magari supporto per motivi logistici e geografici, ma che ho la fortuna di vedere dal vivo fare un percorso che lo ha portato a vivere una montagna russa importante e impegnativa.
Una delle ultime domeniche, Davide ha totalizzato 20 punti contro la blasonata Belluno, giocando una partita che non colloca né lui né Acqui Terme in serie A3. Cester in particolare ha scelto delle soluzioni d’attacco da veterano, e ha concluso il suo personale con la soddisfazione di chi sta ritornando ad essere ciò che voleva essere e ciò che vorrebbe fosse questa nuova Acqui.
Diciamo anche che ad Acqui sono arrivati Iacopo Botto e Michal Petras. Sente la competizione del reparto?
Cosa è cambiato rispetto alla scorsa stagione?
Terzo anno ad Acqui. Sembra che il centro della vita di Cester si sia spostato dall’amato Veneto.
Al canto delle sirene quindi, lei non risponde?
Cester è un soldato della serie A3.
Una delle persone a cui si è più legato è Alessandro Graziani. Mi dica se sbaglio.
Lei e Graziani in questi anni siete sembrati desiderosi di rivalsa.
Si ha l’idea che quest’anno Acqui Terme potrebbe vincere più per la squadra che per gli ottimi singoli.
Da chi dovrete guardarvi le spalle.
Di Roberto Zucca