PHILLIP ISLAND (Australia) – Ricevere l’anello, mostrarlo al cerimoniere e ai testimoni, offrirlo alla consorte, con la domanda di rito: «Vuoi essere la mia sposa?» sperando in un «Sì», ovviamente da contraccambiare. Detto, fatto per Jack Miller, ufficiale Ducati convolato a nozze nella nativa Townsville insieme a Ruby Adriana. Una coppia raggiante nel loro Queensland, decisamente distante – anche a livello di meteo – da Phillip Island. Il ventisettenne del Down Under racconta le emozioni, pronto a viverne altre, nel GP di casa che torna dopo tre anni: «Ero nervoso – svela il vincitore di Motegi – ci trovavamo di fronte a 200 persone, non è stato facile parlare bene e disinvolti. La cerimonia è andata alla grande».
Se l’aspettava la dedica canora di Johann Zarco?
«Assolutamente no. Stavamo facendo un gioco musicale e, a un certo punto, lui è entrato in scena. Un gesto bellissimo».
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Quale regalo farà a se stesso nel GP di casa?
«Sono ancora in corsa per il titolo (a -40 da Fabio Quartararo, ndr), la matematica mi dà ragione. È un bel sogno, continuo a lavorare al massimo, provando a sfruttare il mio solito crescendo di fine stagione. Senza pensare troppo alla classifica né ai giochi di squadra».
Lascerà la Ducati per la KTM: corre da separato in casa?
«No, nessuno di noi ha smesso di crederci, anzi, si è continuato a spingere sull’acceleratore».
Come vive il paddock quando i motori sono spenti?
«Per me è importante correre, sono uno spirito racing. Mi piace anche incontrare i tifosi, stare in mezzo alla gente e parlare di moto. Il problema è solo la distanza da casa, davvero enorme».
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La soffre?
«Ogni giorno. Dal momento in cui prendo l’aereo, allontanandomi dall’Australia. Fino al mio ritorno a Townsville, così lontana e diversa dal vecchio continente. Mi mancano casa mia, le mie cose e le mie persone».
Non è possibile tornare più spesso?
«Avete visto, voi che avete viaggiato fin qui, quanto sia estenuante. Perderei energie fisiche e mentali, non è fattibile. La carriera di un pilota è corta e va vissuta al massimo, affrontando qualsiasi sacrificio. Ho già speso tanti anni fuori dall’Australia sapendo che, prima o poi, smetterò».
A Phillip Island hanno vinto in top class tre suoi conterranei: Wayne Gardner, Mick Doohan e Casey Stoner. Il suo preferito?
«Wayne fu il primo a rischiare, sfidando l’Europa e il Motomondiale. E vinse, realizzando l’obiettivo della carriera da pioniere australiano. Casey era un talento smisurato, vederlo in azione è stato un onore tecnico ed emozionale. Ha lasciato un segno indelebile. Mick è il mio preferito, un vero mito, l’idolo delle folle, la persona semplice e il professionista, il campione. Ha dominato per cinque anni di fila in 500, scrivendo la storia. Mi avete fatto scegliere tra tre profili unici e rari».
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Pure lei lo è.
«Ho il privilegio di figurare in un team ufficiale della MotoGP, ho vinto Gran Premi, tutto speciale, ma io spero di essere ricordato come una buona persona. Qui sto vivendo il mio sogno, ma un giorno finirà. E quando finisce, è finita. Quindi mi auguro di essere considerato un fantastico pilota, però pure un fantastico ragazzo. Un uomo».
Scelga il futuro titolato tra Quartararo, Bagnaia, Espargarò.
«Pecco. Il momento è suo, Aleix è consistente, però non basta per vincere il Mondiale. Fabio è partito forte, si è concentrato su se stesso, è super concreto».
La Desmosedici è la moto migliore?
«Così dicono, però dobbiamo pensare come tutte le moto siano competitive. Quartararo continua a lamentare scarsa potenza della sua M1, e allora perché ha rinnovato con la Yamaha? Tutte le MotoGP sono buone».
La KTM è una buona moto?
«Sì, è veramente valida la RC16. Mi focalizzerò per fare bene, altro che bla bla bla. Non ci sono moto inferiori e svantaggiate. Sentiamo soltanto parole, alla fine contano i fatti, che evidenziano l’equilibrio di questo campionato».