Sono passati pochi giorni dalla chiusura del 2019 tennistico, con il match point trasformato da un dominante Rafa Nadal su Denis Shapovalov in quel di Madrid, a chiudere una Davis stravolta, distrutta e rinnovata. E manca solo un mese all’avvio del 2020, con la nuovissima ATP Cup in Australia. 18 nazioni in gara in Spagna per l’insalatiera, 24 saranno in campo “down under” per la nuova competizione a squadre promossa dall’ATP, a sostituire la Hopman cup ricordando un po’ quella vetusta di Dusseldorf. Due singolari (2 su 3, sic) e un doppio nella “Davis/PiqueCup”, due singolari e un doppio in ATP Cup.
Anche l’osservatore più distratto noterebbe che qualcosa non torna. Due competizioni assai simili, organizzate a sole sei settimane di distanza, una a chiudere l’anno, l’altra ad aprirlo. Su due piedi, pare che quella voluta ed organizzata dall’associazione giocatori sia un filo più coerente come formula, ma aspettiamo a vederla on court per giudicare.
Ai tennisti, lo status quo non piace. Come potrebbe essere diversamente. In molti hanno tuonato, tra gli altri Djokovic, che in tutta la stagione pare sia stato decisivo nel provocare la rottura con Kermode nel governo dell’ATP, sfociata poi nell’elezione di Andrea Gaudenzi. “Non ha senso giocare due eventi quasi uguali, serve unificare e cambiare data, ideale sarebbe appena dopo US Open” ha detto Novak di recente. Già. La data che Federer ed il suo team hanno scelto con grande sapienza per la Laver Cup, che sarà sarà pure un’esibizione super-ricca ma che piace a giocatori e pubblico, è organizzata in modo impeccabile e cresce anno dopo anno, tanto da essere anche inserita nel calendario stagionale ufficiale, pur non assegnando punti per il ranking.
Che fare? La situazione è molto, molto intricata. Gli interessi in ballo sono enormi, come i giochi di potere tra ITF, ATP, giocatori, sponsor, media. La sensazione che è nel 2020 qualcosa possa muoversi, ma non in modo definitivo, magari verrà cercato un compromesso per il 2021, difficilmente credo una soluzione radicale e definitiva. Difficile che la Laver Cup venga spostata: il gruppo di Federer è molto forte, vanta sponsor top che hanno ricavato un ritorno di immagine notevole. Potrà non piacere a molti – anche se quest’anno la maggior parte degli scettici ha cambiato idea – ma nell’ambiente se ne parla solo bene. Forse perché molto ricca, forse perché ottimamente organizzata, forse perché arriva nel momento migliore per un evento del genere, forse perché i big la giocano col sorriso ed offrendo grande tennis in campo. Tutte motivazioni che la rendono uno scacco matto. La forza economica di “king Roger” la si è notata anche nelle sue esibizioni in America Latina: stadi pieni (43mila a Città del Messico, record pazzesco), atmosfera top, media in tilt per seguirlo ovunque, social impazziti… Lo svizzero lo si può anche odiare, ma come sposta le masse lui, nessuno. E questo, in uno sport dove il business è centrale, conta di brutto.
La situazione della neo-Davis non è molto diversa: è stato investito tantissimo per rinnovarla, tenendola come chiusura ideale della stagione, unico elemento di continuità con il suo glorioso passato. Dove collocarla se non a fine anno in questo calendario intasato e “senza logica”? A Madrid ha fatto un rodaggio molto complesso quest’anno. È tutta da verificare la sostenibilità economica di un evento nato con una caterva di dollari, ma organizzato in questo vernissage non male, addirittura peggio di quel che si poteva immaginare alla vigilia. Alla fine è davvero surreale vedere quante cose non hanno funzionato, nonostante siano stati coinvolti fior di specialisti ed ex giocatori (quindi con totale esperienza di campo e vita nei tornei), incuranti delle tante critiche e consigli che da mesi venivano loro impartiti. Hanno tirato dritto per la loro strada, ed hanno “battuto la testa”, come era inevitabile.
L’aspetto più intrigante della neo-Davis alla fine è stato l’ottimo livello di gioco. Diverse partite sono state entusiasmanti, grazie all’impegno dei giocatori che hanno davvero dato tutto in campo, nonostante il momento dell’anno e le fatiche accumulate. Match come Shapovalov – Berrettini e l’atto finale Nadal – Shapovalov, per citarne solo due, come diversi doppi, sono stati incontri eccellenti sul piano tecnico ed agonistico, regalando grande spettacolo al pubblico presente e televisivo. Questo tuttavia non salva un evento che è stato disastroso sotto molti punti di vista. E non parlo nemmeno di un confronto con la “Vecchia” Davis, come hanno fatto molti ex campioni (Panatta e Bertolucci, per restare in Italia), ma proprio per errori organizzativi incredibili. Gli orari di gioco sono stati una epic fail: una programmazione del genere poteva reggere con la certezza di incontri di massimo 1h e mezza (…forse proprio dove vorranno arrivare?), non con la bellissima unicità del tennis relativamente alla durata. Su questo aspetto è stato fatto un mea culpa, doveroso, qualcosa nel 2020 cambierà di sicuro. Nemmeno il format con sei gironi da tre team sta in piedi. Permettere che si possa non giocare un doppio (come hanno i canadesi) o che ci si possa ritirare dopo solo un game giocato è aberrante. La soluzione era banale: 16 è il numero perfetto nel tennis. Se è necessario un inizio delle finals a round robin, quattro gironi da quattro nazioni e via, con le prime classificate per le semifinali; oppure le prime due in un tabellone dai quarti ad eliminazione diretta; questa una modifica banale ma necessaria a preservare il valore tecnico dell’evento. Meglio non dilungarsi altro sul quel che è stato a Madrid, magari ci torneremo in un intervento ad hoc sul tema, è chiaro a tutti che la Davis by Pique non è stata da buttare totalmente ma così non va bene. Vedremo come sarà organizzata la ATP Cup, difficile far peggio, ma i dubbi sono tanti. L’unico aspetto che personalmente sottoscrivo, è di vedere un grande evento in più in Australia: è un paese dove il tennis è importante, è cultura, è storia, traina interesse. Quattro settimane all’anno di tennis tra i canguri è un po’ poco, si meritano almeno un Masters 1000. Vedremo che ne sarà di questa nuova coppa per nazioni.
In conclusione, che fare? Davis, ATP Cup, Laver Cup? Come risolvere la situazione? Personalmente credo che la Laver Cup andrebbe considerata qualcosa di estraneo, è e resterà una esibizione deluxe, una vetrina patinata per giocatori e sponsor, un momento di “svago agonistico”, che ritengo valido ma che ha “rubato” forse la settimana ideale per la competizione nazionale a squadre. La Davis su campionato del mondo potrebbe anche funzionare, ma sarebbe assolutamente da svolgere almeno su due settimane, …proprio nel momento della Laver Cup… Oppure trovare una soluzione di rottura, come giocarla nelle settimane dei due Masters 1000 americani di primavera, spostando Indian Wells dopo US Open. Ma probabilmente arriverebbe troppo presto nell’anno, e come fare per i turni preliminari? Sarebbe affascinante anche disputarla in estate, negli USA come lancio a US Open, o poco dopo Wimbledon, magari a Miami sostituendo il 1000 (che potrebbe essere rimpiazzato da un altro torneo di categoria su terra in Europa, tipo in Germania). Potrebbe diventare un evento top, attirando moltissimo interesse e turisti, spinti a fare le vacanze in Florida tra mare & tennis.
Sono idee, ce ne potrebbero essere molte, ma tutte si scontrano con mille interessi in gioco ed un calendario che sarebbe totalmente da rivedere, fin dalle fondamenta. Lo stato attuale, due competizioni nazionali a squadre in una stagione così fitta e logorante, non ha una logica. Come uscirne? Servirà intelligenza, unità di intenti, visione e programmazione. Proprio quello che in questa fase storica sembra mancare terribilmente…
Marco Mazzoni
@marcomazz