Dopo 138 edizioni, un Azzurro vince il torneo più prestigioso al mondo regalandoci un 13 luglio 2025 da leggenda. Il direttore di Sky Sport, Federico Ferri, ne delinea il profilo: in tanti parlano di un’eccezione, un modello di italianità senza i nostri difetti, ma è un errore. Jannik non è una rarità, è maggioranza. Silenziosa. E, finalmente, ben rappresentata grazie a questo fuoriclasse. Una persona perbene
Il nostro Paese ha atteso 138 edizioni del torneo più prestigioso del mondo, esattamente dal 1877, per vivere questo momento. La vittoria dell’italiano Jannik Sinner a Wimbledon, è già oltre la cronaca, è oltre la storia: è già leggenda. Del tennis e dello sport. Anzi, oltre lo sport, perché questo ragazzo è entrato nelle nostre vite come un punto di riferimento, un termine di paragone, un ispiratore. E tutto questo, essendo sempre se stesso. Un fenomeno, ma fuori dal campo nulla di diverso da quello che sarebbe stato se fosse rimasto a lavorare con i suoi, in un rifugio in Alta Pusteria. Non è il campione che “resta umile”. È umile per essere campione. Del resto, ce l’ha dentro, basta pensare che ha due genitori e un fratello i quali alla finale di Wimbledon si siedono lontani dal centro del players box, per lasciare spazio a “chi lavora”, al grande team costruito dal figlio e dall’amico/manager di sempre, Alex Vittur.
A 23 anni, Jannik non sta soltanto scrivendo la storia del suo sport nel mondo, fa molto di più. Perché nel suo caso il come conta addirittura più del cosa e del quanto. Sinner è un esempio perché, come disse anni fa il suo primo allenatore tra i pro, Riccardo Piatti, “è un predestinato. Predestinato al lavoro“. Il talento senza allenamento e senza sacrificio è poco più che pura vanità, è così per chiunque e in tutti gli ambiti non solo sportivi, ma nel caso di Jannik vale pure di più, perché la costruzione del campione non era scontata. O meglio, lo era solo se ripensiamo a quella definizione, al destino scritto nel DNA del ragazzo: lavorerai e vincerai. Vincerai solo se lavorerai
.
E così oggi abbiamo il privilegio di raccontare un fenomeno, un campione generazionale, che resterà per sempre, uno che unisce persone di ogni età, malati di tennis e gente che non sa neppure le regole del gioco. Insieme, tutti in un abbraccio. Oggi Sinner è la Nazionale. Domenica 13 luglio 2025, come domenica 11 luglio 1982, come domenica 9 luglio 2006, la urla dietro le persiane, la gente davanti alle tv in spiaggia e sulle terrazze, con il cuore in gola: come con l’Italia ai Mondiali, lo stesso effetto. Ancora più potente se si pensa che i bambini e i ragazzi nati poco dopo il Duemila, non solo non hanno mai visto gli Azzurri alzare la Coppa, ma nemmeno partecipare. E invece Jannik l’hanno visto, eccome. E lo continueranno a vedere ancora per tanti anni.
Vedranno ancora un campione che bada ai fatti e rifugge dagli alibi perché “non ci sono scorciatoie”. Vince tanto e parla poco. E quando lo fa, non sbaglia una parola.
Vedranno un campione che si sa rialzare. Da una sconfitta, certo. Ma anche resistendo a uno schiaffo ben peggiore, l’accusa più infamante per uno sportivo, il doping. Da assoluto innocente. Senza smettere di giocare, di lottare, di allenarsi, di vincere. Forte della sua integrità ed onestà.
Vedranno un campione che rispetta l’avversario, sempre. Grande insegnamento del tennis in generale, questo. Uno sport dove si fanno i complimenti all’avversario quando fa un grande punto (e qui alcuni si stupiscono se lo si fa in telecronaca, pensate voi) e dove ci si stringe la mano, per convinzione prima che per prassi, dopo la partita. Quanti ragazzi, di tutti gli sport, lo faranno domani? Quanti cominceranno a giocare, quanti si impegneranno ancora di più? Quanti non daranno (più) la colpa di una sconfitta all’arbitro, all’allenatore, al campo? Quanti impareranno da Sinner che non ci sono scorciatoie? Ne siamo sicuri: tanti.
Non stiamo parlando di un santo, ben inteso. Stiamo parlando di un atleta, di un uomo. Uno come noi? Perché no. Come noi, certo. Quando si parla di Sinner spesso si dice che rappresenti un modello di italianità fuori dai soliti schemi, senza i nostri difetti. Un’eccezione, insomma. Ma tutto questo è sbagliato. Perché Jannik è uno dei tanti italiani che lavora o che studia, si sacrifica per arrivare ai risultati, mette al centro del suo percorso il continuo miglioramento e si circonda delle migliori figure per riuscirci, è uno che onora e mette a frutto il suo talento con la fatica, guarda al mondo con le radici nelle sue origini e nei suoi valori, vive per essere e non per apparire, conosce il senso della misura e il valore del rispetto. Jannik è uno di quelli che non scrive insulti e stupidaggini nell’anonimato dei social, non li legge. Jannik non fa il furbo: è sostanza, ma anche forma, rigore, educazione. Jannik non è una rarità, è maggioranza. Silenziosa. E, finalmente, ben rappresentata grazie a questo fuoriclasse. Jannik è uno delle tante italiane e dei tanti italiani, persone perbene come lui. Solo che ha vinto Wimbledon.