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Il suo ritorno in campo ha determinato la ripartenza di Milano. Decisivo in A, travolgente addirittura in Eurolega dove nelle ultime quattro ha esso 18, 19, 23, 24 punti e viaggia con il 49,2% da tre. Soprattutto, segna i canestri che contano: è successo con il Villeurbanne, a Belgrado col Partizan, in Baviera col Bayern, a Belgrado con la Stella Rossa e a Milano con l’As Monaco. Del resto Billy Baron è tiratore per professione e indole, anzi Dna. Figlio di coach Jim, fratello di Jimmy che abbiamo visto a Roma. Un ragazzo speciale con una storia cestistica particolare. Perché pur di essere allenato dal papà, ha cambiato due volte college. A 32 anni Billy ha trovato la sua seconda casa. E parlando con lui cogli subito la profondità della persona.

Baron, le prime impressioni milanesi.

«Ottime, un posto in cui vivere. È stato facile convincere mia moglie e anche i miei figli hanno trovato la situazione ideale. È una città internazionale».

Due figli maschi, vorrebbe anche lei che giocassero a basket come da tradizione famigliare?

«Sarebbe bellissimo, ma non li forzerei mai. Nemmeno mio padre mi ha mai spinto a giocare. Potrei consigliarli, una volta che avessero iniziato. Ma è prestissimo, sono piccoli».

Lei era stato scelto da un grande college come Virginia, ma scelto di andarsene dopo un anno per essere allenato da suo padre. A Rhode Island e poi a Canisius College. Di solito i figli non vogliono essere allenati dai genitori.

«Non so per gli altri, ma io sentivo dentro di me che essere allenatore da papà Jim sarebbe stato il modo migliore per diventare un giocatore, migliorare sempre. Sarei stato più motivato. Avevo visto il percorso di mio fratello Jimmy a Rhode Island. Alla fine ho fatto tanti provini NBA, non so se sarei stato in grado di farne di più se fossi rimasto a Virginia, perché a Canisius ho potuto mostrare molto di più cosa sapevo fare».

Già, la fiducia aiuta a segnare. Jimmy è il riferimento della sua carriera, chi è il migliore tiratore?

«La fiducia e la reputazione aiutano. Comunque Jimmy è il migliore e non a caso oggi insegna a tirare. Come tiratore da ricezione e tiro è perfetto. Io sono meglio dal palleggio e in uscita dai blocchi».

A proposito di grandi tiratori. Steph Curry, il migliore Nba, ha una suo routine anche re-gare, per cui molti tifosi anche prima delle partite vanno al palasport. Anche lei ne ha?

«In Nba è diverso, ci si allena poco. Comunque io penso di avere fiducia nel mio tiro, nei miei automatismi. Da piccolo tiravo da sopra la testa, alla Larry Bird, perché non avevo forza. Ci ho messo un po’ a trovare lo stile giusto. Da giovane tiravo tantissimo per meccanizzare, diciamo 500 tiri al giorno e Jimmy ha cercato di insegnarmi la giusta meccanica di tiro. Ho imparato a usare meglio le gambe e i piedi, che sono fondamentali. Ora è diverso, ho 32 anni e non penso mi servano tante ripetizioni, ma che occorra riprodurre il più possibile i tiri che poi uno prenderà in partita, avvicinarsi a quelle situazioni di gioco».

Non contano più le ripetizioni?

«Se prendi ogni tiro determinato e con l’uso del fisico come fai in partita, sarai continuo. Fin da ragazzo ho cercato di lavorare sui tiri dal palleggio. Quando qualcuno ti prende i rimbalzi e passa la palla arrivi ad eseguire il tiro automatico. Ma in partita è tutto più dinamico, ci sono altre variabili, la difesa altri per dire. Per essere un grande tiratore devi esserlo dal palleggio, usando la mano destra, come la mano sinistra, perfezionando il crossover o usando un blocco sulla palla. Gli allenatori in Europa adorano chi può tirare dietro un blocco, in isolamento o uscendo dai blocchi per fare un passo a destra, uno a sinistra, poi uno dietro così sembri sbilanciato, ma in realtà non sei davvero sbilanciato. È essenziale, imparare a tirare differenti tipologie di tiro».

Lei ha girato molto l’Europa, cambiando spesso squadra.I suoi posti preferiti?

«Spagna e Italia. Per il clima il cibo, la disponibilità e la passionalità della gente. Per un americano giocare in Europa non è subito facile, devi fare una sorta di transizione. E alla fine capire quale sia il posto giusto per te. La cosa giusta».

E per lei quale è la cosa giusta?

«Ciò che è meglio per la famiglia: dove trovare le scuole giuste per i figli, i posti dove mangiare, luoghi da vedere. Lo scorso anno in Russia, a San Pietroburgo, è stato molto difficile per ovvi motivi. Uno deve sentirsi a proprio agio. Prima di scegliere Milano ho telefonato a Kyle Hines e mia moglie ha parlato a lungo con la sua. Abbiamo trovato la soluzione migliore. Anche per me che voglio vincere qualcosa di importante. Ormai sono alla nona stagione in Europa».

Sarà stato importante il secondo anno in Dopo. Dopo Vilnius, ha trovato a Charleroi suo fratello Jimmy.

«È stato speciale. La mia prima stagione all’estero è stata difficile. Avevo molta nostalgia di casa. Mio fratello ha detto che avrei dovuto essere felice e che sarebbe stato divertente. Erano passati sette-otto anni da quando era andato all’estero. Da allora non avevamo passato molto tempo insieme, tranne 3 o 4 settimane in estate. Lo abbiamo recuperato in quell’anno. Abitavamo anche nello stesso palazzo. È stato fantastico, lui era la guardia tiratrice, io il playmaker. È qualcosa che non avrei mai pensato sarebbe successo».

Visto che il basket è vita per la vostra famiglia, pensa di restare in questo mondo?

«Presto per rispondere, credo che dovrò prendere un po’ di tempo – 2-3-4 anni per staccare – e poi dovrò valutare la situazione. Se i miei figli giocheranno, per esempio, allora potrei seguirli, se lo vorranno. Ma ripeto, è presto»

Suo fratello Jimmy invece che fa?

«Fa l’allenatore del tiro per l’Accademia della IMG in Florida. E credo che presto lo sarà nella Nba, è ovviamente molto bravo».

Milano è ripartita. Vi sentite in corsa per tutto?

«Certo che sì, questa squadra è piena di giocatori forti, belle persone che si allenano duramente. Abbiamo avuto tanti infortuni, ma stiamo recuperando. E siamo tutti venuti qui per vincere».

Il 2023 parte con il duello dei duelli con la Virtus Bologna. Il derby d’Italia tra le due più vincenti.

«È quello per cui viviamo noi giocatori, una partita di questo livello. Mi hanno dettp della rivalità, io stesso ho giocato partite tra squadra di grande rivalità negli States. L’ambiente caldo è fantastico per un giocatore. Noi siamo pronti. Loro anche».

Ci tolga un curiosità, chi era il suo idolo e riferimenti da bambino?

«Mio fratello Jimmy, ho iniziato per imitarlo, lo seguivo e lo studiavo con gli occhi. Credo sia giusto avere un modello vicino, non uno della Nba, ma uno che puoi seguire per imparare. E poi è mio fratello».


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/basket

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