Joseph, prima di tutto raccontaci qualcosa di te. Sei arrivato tanti anni fa in Italia dal Libano, la tua città d’origine e qui hai partorito questa idea rivoluzionaria per il nostro paese.
Il fatto di girare molto per lavoro e conoscere altre culture e lingue ha rappresentato un dono per me. E’ un qualcosa che ti apre la mente e ti regala un bagaglio impressionante di esperienze e di vita in generale. Mi sono spostato a vivere a Barcellona e a Parigi e lì l’idea è venuta fuori in modo piuttosto naturale. In Spagna cercavo un campo per giocare perché il basket è la mia passione e un giorno ne ho trovato uno con tanti ragazzi e ragazze di etnie e orientamenti sessuali che giocavano tutti insieme: un qualcosa di incredibilmente bello. Ho deciso subito di affiliarmi con loro e ho cominciato a giocare con quella squadra il torneo nazionale inclusivo, un torneo locale della Catalogna e anche alcuni tornei internazionali. Poi sono andato a Parigi e ho fatto la stessa cosa arrivando ai gay games (una sorta di mondiali che si svolgono ogni 4 anni). Una volta tornato a Milano ho voluto subito replicare quell’esperienza, è stato un processo naturale.
La Peacox è una associazione sportiva dilettantesca a tutti gli effetti. Qual è l’aspetto più difficile di gestire una cosa del genere? Anche perché se ho letto bene tu hai avviato il tutto durante la pandemia nel 2020. Questo sicuramente ha aumentato le difficoltà, no?
Di difficoltà ne ho avute tantissime. La Peacox è una associazione da aprile ma prima era solo un progetto embrionale. Per farti capire, al primo allenamento c’ero solo io a causa della pandemia. Lasciai un messaggio sui social al quale non rispose nessuno. Il problema principale era quello di trovare gente disposta a tornare e ad affrontare un impegno a lungo termine. Gestire una squadra richiede impegno. Un’altra difficoltà era la visibilità: è una squadra con etichetta LGBT che però ha il 30% degli atleti che sono etero. E’ una squadra inclusiva che non vuole assolutamente marginalizzare gli etero, tutti sono i benvenuti. Tanti avevano paura della visibilità perché magari sono ragazzi gay non dichiarati che non volevano esternare il loro orientamento sessuale. Trovare uno sponsor anche è stato complicato.
Tu hai detto che questa squadra è aperta a tutti, ovviamente anche agli eterosessuali. Come fai a trovare nuovi giocatori non essendoci un mercato? Come reperisci le divise, i palloni o semplicemente i campi dove giocare?
Adesso tutto è più semplice visto che abbiamo 25 persone affiliate, un record. La squadra sta diventando un punto di riferimento con dei valori precisi dei quali vado fiero. Ad esempio abbiamo delle persone di colore che hanno subito vergognosi episodi di razzismo e nella nostra squadra si sentono felici perché si sentono accolti per quello che sono, senza essere discriminati perché di etnia diversa. Proprio due settimane fa abbiamo giocato con una ragazza transgender che mi ha lasciato un messaggio commovente: “Volevo ringraziarvi di cuore a tutti, anche se a voi sembra poca roba mi avete dato la possibilità di tornare in campo quando avevo perso tutte le speranze. Grazie di cuore”. Mi sono commosso e ho capito che questa squadra rappresenta la speranza per chi si sente messo ai margini. In tanti mi chiedono perché c’è bisogno di una squadra come questa. La mia risposta è che in un mondo utopico, quando le squadre tradizionali saranno completamente inclusive, allora non ci sarà più bisogno della mia squadra.
Ormai è passato qualche anno da quando la squadra è stata fondata. Se ti guardi indietro è più la soddisfazione o è più la fatica per ciò che hai creato?
Tutte e due, la fatica rimane anche perché noi viviamo un mondo in cui c’è un pregiudizio e dobbiamo sempre combattere e lottare per questi diritti. Però in Italia si stanno facendo grandi passi in avanti in questo senso, questa cosa mi fa piacere.
Arriveremo al giorno in cui si potrà dichiarare apertamente la propria omosessualità nello sport?
Ti spiego la mia teoria: quello dell’omosessualità rimane un tema tabù per un discorso economico. Metti caso che un fuoriclasse famosissimo fosse un gay dichiarato e non etero e alla finale della Champions scendesse in campo non con sua moglie ma con suo marito. Si scatenerebbe uno scandalo, non in Europa, forse nemmeno da noi ma in altri paesi del mondo come Africa e altre zone molto indietro su certi temi. La Uefa e la Fifa non accetterebbero l’idea di perdere contratti con questi paesi. Il problema della mancata inclusività per me è solo questo.
Tu sarai protagonista della Wired Next Fest, il più grande evento a partecipazione gratuita in Italia dedicato all’innovazione e alle tecnologie digitali, che sarà il prossimo 7-8 ottobre a Milano alla Fabbrica del Vapore. Cosa accadrà durante quell’evento? Di cosa parlerai? Cosa ci puoi anticipare?
Io parlerò di ciò he conosco, di come il digitale ci ha aiutato come squadra. Noi siamo cresciuti grazie al passaparola, a Instagram e all’aiuto della stampa come voi. Io ho usato la mia popolarità su Instagram e l’ho usata per far crescere la fama della squadra. Le squadre come le nostre possono usare a creare un futuro migliore per l’Italia. Di questo ne sono convinto.