Tetto salariale, free agency, scambi regolamentati e draft. Su questi quattro cardini si poggia il sistema del mercato Nba. La stagione del grande basket statunitense è appena iniziata con le prime partite di regular season. Un mondo completamente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Europa, dove ogni cartellino di un giocatore può essere acquistato dietro un pagamento in denaro. Merito del sistema “chiuso” della Nba, senza promozioni e retrocessioni.
Salary cap
In parole povere è l’ammontare complessivo degli stipendi consentito per una franchigia Nba. È la stessa lega a darne comunicazione e varia di anno in anno, in base al cosiddetto Basketball related income, una proiezione sugli incassi della Nba. La voce principale riguarda i diritti tv. La Nba in Italia viene trasmessa da Sky o, in streaming e in abbonamento, da Nba League Pass ma viene ovviamente trasmessa in tutto il mondo da cifre da capogiro. Il salary cap Nba è flessibile: può essere sforato (di poco), altrimenti scattano la luxury tax (quest’anno fissata a 123 milioni) o la apron tax (oltre i 127 milioni ma è considerato il limite invalicabile).
Queste multe vengono distribuite alle franchigie “virtuose”. Ma nella Nba esiste anche un limite minimo di spesa, attestato al 90% del salary cap. Chi non lo rispetta deve dividere il disavanzo ai 15 giocatori del roster.
Free agent
Ogni estate si scatenano delle vere e proprie aste per aggiudicarsi i giocatori i cui contratti sono scaduti al 30 giugno. Nel 2018, nei primi giorni di luglio, le franchigie hanno speso oltre un miliardo di dollari. I giocatori liberi possono rifirmare con la stessa squadra (come recentemente fatto da Chris Paul con Houston) oppure decidere di andare altrove (Lebron James ha portato i suoi servigi da Cleveland ai Los Angeles Lakers).
L’ultima squadra detiene i suoi diritti, attraverso una regola chiamata Bird Rights (in onore di Larry Bird), per poter rinnovare il contratto anche eccedendo il salary cap. Le altre franchigie invece devono mantenersi al di sotto. L’unica eccezione riguarda la Sign and Trade, procedimento per cui un giocatore rinnova ma viene immediatamente scambiato altrove in cambio di qualcuno. Una situazione che fa contenti tutti: il giocatore si trasferisce in una piazza a lui gradita, la squadra d’origine non perde il giocatore gratis, chi lo acquista non avrebbe potuto farlo in altro modo.
Trade
La Nba ha regolamentato gli scambi in modo tale che il valore del giocatore dipenda solo ed esclusivamente dallo stipendio che deve percepire ancora. Un giocatore può finire altrove se il residuo del contratto viene scambiato con un pacchetto di contratti del +/- 150%. Per aggirare questo vincolo, spesso due squadre ne trovano una terza per permettere il buon esito della trattativa. Regole piuttosto complesse che hanno portato i maggiori siti specializzati a varare una trade machine, per vedere la sostenibilità di ipotetici scambi.
Draft
Negli scambi possono essere inserite anche le scelte del draft, che si tiene ogni anno a fine stagione. In base al record tra partite vinte e perse (e con un meccanismo di estrazione chiamato Lottery) viene varato un ordine che permette alle ultime di chiamare per prime un giocatore e accaparrarsi quindi i migliori talenti. Quest’anno la scelta numero uno è stato DeAndre Ayton, che giocherà dai Phoenix Suns, ma c’è grande attesa per lo sloveno Luka Doncic, scelto dai Dallas Mavericks.
L’articolo completo di Luca Guazzioni su Wired è consultabile qui