La fortuna migliore che possa toccare a un grande campione è quella di essere pedinato da un grande cronista. Dal punto di vista di Egan Bernal, una sterminata orda di giornalisti brulicanti fornisce versioni diverse della sua ascesa. Le storie più affascinanti, quelle che fanno la fortuna del campione, le tramandano quelli che non si limitano a raccontare l’evento, ma il modo in cui lo hanno vissuto. In questo, Gianni Mura si è ritagliato un ruolo da maestro. A un anno dalla sua scomparsa, si coglie l’occasione di ricordare uno dei più grandi autori di racconti della bicicletta.
Egan Bernal, il futuro è arrivato
Il 27 luglio 2019, Gianni Mura corrispondeva da Tignes gli aggiornamenti sul Tour 2019: «Succede di tutto, anche troppo». Il maltempo a 37 km dal traguardo, le cronache di chi ha mollato per i dolori alle cosce, gli imprevedibili e spaventevoli scherzi del «Dio del ciclismo» che «sotto una canicola senza precedenti dal 1873, ha spedito sulla corsa una tempesta di grandine, più due frane sulla strada».
Mura ci racconta di quando il direttore del Tour Christian Prudhomme e il direttore di corsa Thierry Gouvenou, decisero di interrompere la tappa a causa della grandine che aveva coperto le strade di Val d’Isère, trasformando il paesaggio in una «cartolina di Natale». Quando i corridori furono informati della decisione, Egan Bernal non capì, perché lui l’inglese non lo parlava.
«mi parlavano in inglese, non capivo perché dovessimo fermarci. Me l’hanno spiegato in spagnolo e allora ho tirato i freni»
Non essendoci stato alcun ordine di arrivo, il vincitore venne stabilito sui tempi registrati in cima a Col de l’Iseran. Quel giorno, il Dio del ciclismo non si era risparmiato di eleggere la nuova maglia gialla. Il suo nome era Egan Bernal, che in quella edizione sarebbe riuscito a proclamarsi il primo colombiano nella storia a vincere il Tour de France e il più giovane vincitore dal Dopoguerra.
«sapevo che se avessi fallito avrei compromesso il podio, ma se fosse andata bene potevo vincere il Tour»
La gioia invisibile
Le gioie più grandi sono le più difficili da esprimere. Non perché sia difficile – oltreché inutile – trovare le parole, ma perché il più delle volte sei arrivato stremato al traguardo, qualunque esso sia nella vita. Dopo la vittoria del Giro d’Italia, Egan Bernal si è presentato stravolto ai microfoni.
«scrivere il mio nome su questo trofeo, alla fine è come rimanere nella storia. Il mio nome resterà per sempre»
Sono le parole di un campione che ci ha abituati alla mitezza del suo temperamento. A 24 anni, Bernal ricorda di quando da liceale aveva pensato a un futuro come giornalista, salvo poi diventare il protagonista delle loro cronache.
È uno di quei campioni che al trono del vincitore preferisce la trattoria dove festeggiare la vittoria, è uno di quei campioni che sono chiamati a far pesare sulla giovane età l’esperienza di chi ha vinto tutto. Non stupisce che abbia già accennato al sogno di ritirarsi un giorno a far vita di campagna. Egan Bernal è uno di quei campioni che trae la forza dalla fede, dagli affetti e dalle gambe.
«la mia forza arriva da Dio»
Per Bernal, il Giro d’Italia non è solamente il Giro. Ha vinto dove ha vissuto per due anni. Nel 2019, Gianni Mura ci ricordava come il ciclista colombiano avesse abitato ai piedi dell’Etna. Lì si era formato il legame con l’Italia, dove ha imparato la lingua e ricevuto l’affetto degli italiani. Ci ricordava inoltre che alla trattoria Buasca di Cuorgnè ha la sua sede il Bernal Fan Club Italia.
Egan Bernal non ha intenzione di ritirarsi adesso, la campagna può attendere. Alla trattoria Buasca resta viva la speranza di tornare a brindare.