Ogni giorno di più scopro di avere amici conservatori e tecnofobi. Contrari, per intenderci, al tie break sul 12 pari a Wimbledon o ai match di Davis al meglio dei tre set. Figuratevi se accettano di buon grado le regole Next Gen – sul 40 pari il game si decide con il punto secco; il set va a chi prima arriva a 4; il servizio vale anche se la palla tocca la rete; i tempi morti tra gli scambi si riducono al minimo; i giudici di linea sono sostituiti da occhiuti marchingegni elettronici eccetera – che sono motivate dalla volontà di rendere la partita più spettacolare e in linea con tempi ed esigenze televisive. E comunque alcuni dei cambiamenti introdotti alle Next Gen Finals sono necessari. Per esempio, secondo me è più che lodevole lo stop ai ridicoli, talvolta umilianti e comunque poco igienici passaggi di asciugamano dal giocatore al raccattapalle e viceversa, che sono stucchevoli perdite di tempo. E sono davvero istruttivi i frequenti colloqui a distanza tra il giocatore e il coach durante i cambi campo grazie a collegamenti radio come in Formula 1. Mostrandoli e facendone sentire il contenuto ai telespettatori, viene esaltato il ruolo dell’allenatore e si rendono espliciti i dubbi e le paure di chi è in campo. Direi: è un modo per umanizzare il tennis.
Nel corso della finale nel padiglione 1 di FieraMilano, Stefanos Tsitsipas e Alex de Minaur fanno un ricorso minimo al telecoaching “legalizzato”, utile più per ottenere conferme che consigli tecnici. Non ne hanno bisogno. Il greco, anzi, è visibilmente restio a infilarsi la cuffia per parlare con papà Apostolos, che è il suo coach.
L’intelligenza tennistica di de Minaur ha pochi paragoni nel circuito, e non mi riferisco a quello degli under 21. Il ragazzo di Sydney allenato ad Alicante da Adolfo Gutierrez ha la capacità, geneticamente definita, di preparare con eccezionale anticipo i colpi, ampliando così la gamma delle risposte possibili. Questa caratteristica è sinergica con la velocità degli spostamenti (alto 180 centimetri, ha uno scatto da centometrista) che, da difensore naturale qual è, lo trasforma spesso in efficace attaccante. Il resto lo fa la sensibilità nel tocco.
Tsitsipas, testa di serie numero 1 del torneo in quanto numero 15 al mondo, ha ottimi fondamentali, anche se ha margini di miglioramento nel servizio, nello smash e nel drop shot. La sua qualità più evidente è la facilità di concentrazione. Nei momenti decisivi del match, riesce quasi sempre a dare qualcosa più dell’avversario. Lasciato il primo set a seguito di alcuni pezzi di bravura di Alex (31 ATP), l’ateniese domina il secondo e si prende di forza il terzo al tie break. Anche nel quarto set, di intensità indirettamente proporzionale all’età verdissima di entrambi (vent’anni e tre mesi Stefanos, diciannove e nove mesi Alex), l’equilibrio tarda a spezzarsi. Nuovo tie break e, esattamente come nel set precedente, “Tsitsi” lascia poche chance all’avversario. Finisce 2-4 4-1 4-3 4-3 dopo un’ora e 41 minuti di tennis d’altissimo livello: Tsitsipas e de Minaur chiudono la stagione fianco a fianco, divisi dal nonnulla di pochi punti. La sensazione è che nel prossimo futuro li vedremo spesso scontrarsi ai massimi livelli.
Con loro, con Alexander Zverev, con Karen Khachanov il tennis sta cambiando pelle. In questa impresa ci sarà anche Andrey Rublev. Nella finale per il terzo posto, il russo ha infatti prevalso sullo spagnolo Jaume Munar in cinque set (1-4 4-3 2-4 4-2 4-3). Il moscovita ha faticato ad aver ragione del grintoso maiorchino, ma il suo obiettivo principale era dimostrare a se stesso di aver superato i problemi collegati alla lunga assenza dal circuito dopo l’infortunio subito in primavera. Missione compiuta.
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