Dopo il viaggio alle origini del suo percorso, alla scoperta della sua vita in Argentina prima dell’arrivo in Italia, in questo episodio accendiamo i riflettori sulla filosofia di gioco e di sport di Julio Velasco, in particolare, sulla costruzione del rapporto atleta/allenatore.
Per Federico Buffa, la peculiarità della cosiddetta scuola Velasco è evidente fin dal momento in cui varca la soglia di uno spogliatoio: “Ha un modo di entrare – dice – che credo abbia determinate caratteristiche. Quando è entrato nello spogliatoio dell’Italia, l’ultima, la Nazionale femminile, secondo me è Phil Jackson che entra nello spogliatoio dei Lakers dopo aver vinto sei titoli con i Chicago Bulls e i Lakers, e né Shaq né Kobe hanno mai vinto”. “Ma esiste un metodo Velasco?” chiede Federico Ferri, direttore di Sky Sport. Per l’allenatore argentino non si tratta di una vera scuola, ma più che altro di un percorso in continuo mutamento, un modo di agire che deriva da un bagaglio di conoscenze in continua evoluzione: “Imparo continuamente – spiega– studio, leggo molto le interviste e i libri di altri allenatori, cerco di capire come funziona il cervello umano, come apprende, perché è da lì che nascono nuove metodologie per rendere ancora più efficace l’allenamento”. Un aspetto del metodo, anche se Velasco non ama definirlo così, che affascina e incuriosisce, è sicuramente il criterio con cui il Ct riesce a far convivere le esigenze individuali e del gruppo: “Una grande squadra – dice Velasco – sa come mettere in luce un grande campione. Per quello non mi piace molto l’idea di squadra come orchestra sinfonica, perché nell’orchestra sinfonica quello che suona è il direttore d’orchestra, seppur attraverso i musicisti. Per me l’allenatore è piuttosto il leader di un gruppo jazz, dove l’individuo si fa anche notare, c’è l’improvvisazione e la gente applaude più uno che l’altro”.
Guardando alla carriera di Velasco e ai successi raggiunti con squadre maschili e femminili, la conversazione si sofferma poi sull’analisi dell’esistenza di un differente approccio nell’allenare maschi e femmine. La risposta non è scontata: “Le donne – spiega l’allenatore – sono diverse. Non cercano di dimostrare tutte le volte che sono meglio di un’altra, la prima cosa che sta loro a cuore è stare bene con sé stesse, a noi maschi non basta, dobbiamo sempre dimostrare, fare la gran giocata. Le donne sono straordinariamente disciplinate, precise, ordinate, lavoratrici, è facile allenarle da questo punto di vista, però hanno un brutto rapporto con l’errore, cosa che deriva da una cultura secolare. Se sbagliano si puniscono troppo e tendono a non rischiare, pur di non sbagliare di nuovo. Con loro bisogna paradossalmente incentivare l’errore, cosa che con i maschi non farei mai. Non ho mai detto ai maschi “sbagliate, non fa niente” perché sarebbe un disastro, ma con le donne bisogna dire “provate, non importa se sbagliate, non è possibile imparare senza sbagliare, se vogliamo essere creativi dobbiamo passare per l’errore”. Le parole di Velasco offrono sempre spunti di riflessione e sono fonte ispirazione per generazioni di sportivi e allenatori.
Non perdetevi il secondo appuntamento con uno degli allenatori più vincenti della storia dello sport azzurro. Da stasera alle ore 23.15 su Sky Sport Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Dal 7 febbraio appuntamento finale con l’Episodio 2. Infine, su Sky Sport Insider è già disponibile il Podcast esclusivo.
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