Alessandro Benetton: «La Ferrari, gli anni d’oro di Schumi e quella battuta dell’Avvocato…»

La presenza di Alessandro Benetton è stata l’occasione – ieri a Race Anatomy su Sky – per ricordare che, dal 28 novembre, andrà in onda su Sky e NOW il documentarioBenetton Formula”: il racconto della blasonata scuderia italiana che innovò il mondo della Formula 1, un mix di ricordi ed emozioni che ritorneranno in occasione del trentennale delle storiche vittorie mondiali. Ideato dall’emergente casa produttrice “Slimdogs”, il documentario ripercorre per la prima volta l’epopea sportiva del team Benetton in Formula 1 negli anni ’90. Un grande repertorio, in parte inedito, mostrerà scene in pista ad alta tensione, intuizioni rivoluzionarie e drammatici imprevisti, ricostruendo l’ascesa e le vittorie di un team su cui nessuno avrebbe scommesso. Tra le voci protagoniste di Benetton Formula: Flavio Briatore, Gerhard Berger, Ross Brown, Rory Byrne, Bernie Ecclestone e Ralf Schumacher.

Che idea si è fatta di questa Ferrari, che anche quest’anno ha un progetto non vincente?

«Ci sono dei momenti in cui non si riesce a raggiungere quella discontinuità che è necessaria per andare avanti e per migliorare. Gli orientali dicono che una pianta, quando smette di crescere, muore. Capita nelle aziende, capita nei progetti, che a un certo punto si fermi questa voglia di andare oltre e questo poi diventa molto difficile da gestire, perché c’è sempre qualcuno di emergente che può fare la differenza, come in qualche maniera facemmo noi di Benetton Formula».

Se fosse lei a comandare a Maranello che cosa farebbe? Dove metterebbe le mani?

«Domanda troppo difficile. Io, al di là della parentesi della Formula Uno, mi sono occupato sempre di un’attività in proprio e sono ritornato nel nostro gruppo di recente, proprio con la voglia di riportare questa discontinuità che per noi era un po’ un marchio di fabbrica. Ecco, penso che il galateo dica che vale sempre la pena non guardare nel piatto degli altri per cui non voglio azzardare ipotesi, soprattutto per il fatto che non ho vissuto questo mondo da vicino negli ultimi anni. Quello che posso dire è che la Ferrari tornò a vincere anche e soprattutto grazie a Michael Schumacher, cioè una persona che non era solo un grande pilota, ma era qualcuno che portava con sé un livello di energia e la capacità di contaminare gli altri con questa energia, fatta di determinazione, di precisione, di una volontà di dedicare completamente se stessi alla causa, che poi finì per essere contagiosa su un team che, ricordiamo, faceva fatica. Ecco, io penso che le aziende, durante i momenti di cambiamento, devono riuscire a identificare questi leader, capaci di fare la differenza con la loro energia contaminante. Non ne ho uno in mente per la Ferrari, però di sicuro penserei al fatto che le squadre vincenti partono quasi sempre da un fuoriclasse e dalla costruzione di tutto il team piuttosto che da una pianificazione ordinaria di tutte le attività».

Cosa ricorda degli anni raccontati da “Benetton Formula”?

«E’ stato un ciclo straordinario che riguarda un po’ la storia della nostra famiglia, raccontata attraverso la Formula 1, e che poi a un certo punto è caduta anche per noi in una zona di comfort. Ci siamo dimenticati che il cambiamento, la discontinuità, fossero parte del nostro DNA. Sono stati degli anni straordinari, abbiamo introdotto il lifestyle nella Formula Uno, sono stati anni in cui è cambiata profondamente la sicurezza. Basta pensare a Imola ‘94. La tecnologia oggi è molto più sofisticata, il mondo della comunicazione, più ampio. Rimane però sempre questa grande voglia di vincere da parte dei piloti, come punto centrale. Guardo sempre con simpatia la Formula 1, guardo alla Red Bull e mi viene in mente la Benetton di quegli anni».

Ci fu la famosa battuta attribuita all’Avvocato Gianni Agnelli, non sappiamo se vera o inventata: la Ferrari all’epoca sempre perdeva e lui disse: “Ma com’è possibile che gente che fa dei pullover sia meglio di noi a fare delle macchine di Formula Uno?”

«Penso che sia stata effettivamente detta. E’ il coraggio del cambiamento, che viene più facile quando non hai niente da perdere. Quando invece la tradizione, il nome, le sicurezze, i successi passati diventano una gabbia, lì cadi nella trappola. Ecco, partivamo con tante speranze e pochi punti fermi. Questo ci ha dato il coraggio di cambiare. Oggi voglio proprio riproporre questo ragionamento all’interno del nostro gruppo, come abbiamo fatto negli ultimi anni. Per ricordarci che anche quando pensi di aver trovato, come diceva uno scrittore, tutte le risposte, qualcuno ti cambia le domande».



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/formula-1

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