Bianchini: “Nel basket ci vuole un’altra rivoluzione”

Cosa ci ha raccontato fino ad oggi questo campionato?

«L’idea di giocare palla e tiro, senza costruire, ha da tanto tempo preso il sopravvento facendo scadere la qualità. È un messaggio, che non apprezzo, arrivato dagli Usa. Una deriva tattica figlia della NBA che da noi ha finito per condizionare gli atleti di medio valore. Per fortuna, ed è un merito di alcuni allenatori, in questo campionato qualcuno è tornato nuovamente a dare un senso alle azioni d’attacco con la ricerca del post basso. La verità è che lì la gente veramente capace, padrona dei fondamentali, è poca. Penso a Bilan e Shengelia e non me ne ne vengono in mente molti altri. Oggi i lunghi, o presunti tali, si rifugiano solo nel pick and roll. Una volta giocato o si aprono dalla lunga, e si specializzano nel tiro da tre, o sfruttano tanta atleticità andando verso canestro per chiudere con una schiacciata. Tornare a insegnare l’uno contro uno in post basso deve essere una nuova rivoluzione».

Insomma una tirata d’orecchie ai suoi colleghi.

«I coach non devono solo assistere a ciò che fanno le proprie squadre, devono condurre, dare idee, proporre. L’utilizzo del post basso deve servire a sconfiggere la psicosi del tiro da tre punti. Ma c’è bisogno di tanto lavoro in palestra, non solo dei capo-allenatori della serie A, ma soprattutto di quelli che operano nei vivai. Dove, mi pare, l’andazzo a parte qualche eccezione, è di non investire troppo da parte dei club».

Dia un’occhiata alla classifica. Tra il primo e il nono posto otto squadre del nord e la sola Trapani a difendere l’orgoglio del sud.

«Antonini ogni tanto sarà criticabile per qualche uscita estemporanea ma ce ne fossero come lui. Ha tirato fuori soldi e idee e ha dimostrato che si può primeggiare anche da esordienti. Non ha fatto salti nel buio e ha affidato la squadra a un grande tecnico come Repesa. Ha riacceso l’entusiasmo di Trapani e della Sicilia. Il nostro basket ha bisogno di grandi realtà che non siano per forza quelle del nord. Sono stato a Napoli a vedere la sfida, vinta, contro Milano. Palazzo esaurito e un entusiasmo che ti trascina. Mi diceva mio figlio, che lavora per il Napoli calcio, come tantissimi tifosi della squadra di Conte alla fine delle partite di football corrano dal San Paolo a vedere Pullen e compagni. Come accadeva a Roma quando allenavo il Banco».

A proposito, manca tanto la Capitale al basket di vertice.

«La pallacanestro ha bisogno delle grandi piazze e Roma lo è per eccellenza. Per uscire però dall’anonimato in cui è crollata dopo l’addio di Toti servono imprenditori e sponsor. La serie B, dove gioca la nuova Virtus 1960 che comunque ha riacceso la passione della base, non basta. Servono grandi personaggi, risultati, un impianto più grande del Palazzetto. Non è un caso che la NBA voglia Roma, accanto ad altre grandi metropoli, nel suo nuovo progetto. Ha intuito le potenzialità pazzesche di questa città. La NBA è un’azienda che produce utili e un nuovo club, che prenda parte al torneo che FIBA e americani vogliono organizzare, farebbe da traino a tutto il basket italiano».

Torniamo alla serie A. Sorpreso dalla stagione d’esordio, come coach a Brescia, di Poeta?

«Ai miei tempi il passaggio immediato dal basket giocato a quello allenato a grandi livelli era impensabile. Il gioco era più complesso, serviva un periodo di rodaggio, di apprendistato. Come fece Recalcati che, prima di decollare per vincere scudetti, si fece le ossa a Bergamo. Poeta, ma anche Bulleri, si stanno dimostrando preparati, con idee brillanti. Però…».

Però cosa cosa gli manca?

«Non solo a loro, ma a tutta la serie A manca un po’ di dialettica tra allenatori. L’attenzione dei media non si raggiunge solo con i risultati sul campo, piuttosto alimentando, nei limiti dell’educazione ovvio, il sacro fuoco della polemica. Non tutti posso essere come Peterson e me. Ma noi mica eravamo soli. Zorzi, Guerrieri, Primo mica te le mandavano a dire. Io una volta ebbi un battibecco con Elio Pentassuglia. Era un omone, grande conoscitore della materia. Andò in sala stampa e disse: Bianchini mi ha aggredito. Ma come avrei potuto. Ero basso e con gli occhiali. Voleva attirare l’attenzione su Brindisi e ci riuscì».

Chi vincerà lo scudetto?

«La diarchia Virtus Bologna-Milano scricchiola. Merito delle altre. Di Trapani, di Trento, che gioca molto bene, di Brescia. Però le due grandi ai playoff si faranno trovare pronte e non sarà facile scalzarle».

Crede che, come si sussurra, Pozzecco con i prossimi Europei sia alla fine del ciclo in azzurro?

«Non ho certo la sfera di cristallo per poter prevedere cosa accadrà. Gianmarco prese il posto di Sacchetti, che penso sempre sia stato allontanato ingiustamente dopo aver riportato la Nazionale alle Olimpiadi, e ha iniziato un progressivo percorso di ringiovanimento della rosa che sta portando avanti con coraggio. Sono tanti i nomi nuovi che hanno avuto spazio con lui e sta monitorando anche ragazzi giovanissimi dalle grandi potenzialità, grazie anche al nuovo progetto pensato con Datome e lo staff tecnico federale. Se sceglierà di tornare in un club servirà ad arricchire il suo bagaglio d’esperienza».



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/basket

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