Quando le nazionali azzurre hanno chiuso entrambe la fase a gironi dei Giochi di Parigi a punteggio pieno, ed entrambe con prestazioni in crescendo (3-1 alla Polonia i ragazzi, 3-0 alla Turchia le ragazze), abbiamo tutti pensato, sperato, creduto che questo potesse essere un anno storico, una Olimpiade da leggenda, da doppio oro magari, comunque da doppia medaglia. I presupposti c’erano tutti, ma le cose alla fine non sono andate esattamente così. Le ragazze in finale per il primo e secondo posto ci sono arrivate (domenica 11 agosto alle 13.00), i ragazzi invece hanno chiuso al quarto, giù dal podio.
Un fallimento? Il dubbio sorge ed è legittimo. Saremo stati troppo duri verso questa squadra dopo la finale persa nettamente contro gli Stati Uniti oppure abbiamo dato solo una spiegazione oggettiva a quanto accaduto? Avremo espresso giudizi e analisi corrette o per certi versi ingenerose?
In poche parole, questa Italia, campione d’Europa e del Mondo, alle Olimpiadi ci è andata per vincere o per fare una esperienza di crescita?
Ce lo siamo chiesti tutta la notte, passata insonne come immaginiamo abbiano fatto anche gli azzurri. Per trovare una risposta abbiamo riletto alcune dichiarazioni.
“” affermava lo scorso 12 luglio il presidente federale Giuseppe Manfredi.
Ergo, se siamo l’Italia, che tradotto vuol dire siamo una potenza pallavolistica a livello mondiale, ciò significa che l’obiettivo a Parigi era vincere o comunque andare a medaglia.
“” ha dichiarato invece il ct De Giorgi al termine della finale per il terzo e quarto posto. Poi ha aggiunto: “. “.
Ergo, l’esperienza, che alcuni convocati ancora devono fare con i club in Superlega, è stata fatta fare alle Olimpiadi.
Continuiamo a non capire. Magari sarà un nostro limite, nel caso faremo mea culpa, ma la notte passa lentamente e noi restiamo svegli a porci domande come questa: giusto bruciare una Olimpiade che arriva una volta ogni quattro anni, torneo di capitale importanza per tutto il movimento federale e nazionale, solo per far fare esperienza, e a chi poi? A giocatori che non hanno mai visto, o quasi, il campo?
All’Olimpiade, nella pallavolo, le nazionali italiane, tornando alle parole di Manfredi, devono andare per ottenere il risultato migliore possibile o per fare l’esperienza più formativa possibile?
Continuiamo ad arrovellarci, poi pensiamo a Velasco… Lui in finale ci è arrivato senza perdere un set tra quarti e semifinali, convocando solo le migliori giocatrici italiane in circolazione, dalla 37enne De Gennaro alle opposte Egonu e Antropova, dalle palleggiatrici Orro e Cambi alle centrali Danesi, Fahr e Lubian, per finire con il reparto schiacciatrici formato da Sylla, Bosetti e Giovannini del quale avrebbe fatto parte Degradi, se non proprio Pietrini, se entrambe non si fossero infortunate prima. Il top del top insomma, focalizzati sull’obiettivo, senza guardare la carta d’identità.
Gerarchie chiare sin da subito, per carità, ma quante volte alla nazionale femminile è servito sfruttare un doppio cambio all’altezza? Quante volte è servito gettare nella mischia Giovannini in seconda linea o Lubian al servizio?
La nazionale maschile invece queste alternative non le ha avute perché nel roster sono state fatte scelte diverse. Si è portato come secondo opposto Alessandro Bovolenta, giocatore di A2 fino a ieri, venti candeline spente lo scorso maggio; si è portato come terza banda Luca Porro, stessa età, in Superlega con Padova solo dalla passata stagione; si è portato come terzo centrale Giovanni Sanguinetti, 24 anni, giocatore di Modena, squadra che quest’anno di certo non ha brillato.
Se l’obiettivo dichiarato doveva essere sfruttare questa Olimpiade per far fare esperienza a questi ragazzi, in funzione del prossimo quadriennio, allora alziamo le mani, ma continuiamo a pensare che gli esperimenti e le esperienze, visto che siamo l’Italia, sarebbe più opportuno farle in VNL, magari, non certo alle Olimpiadi.
Avendoli visti poco, se non nulla, in campo a Parigi, siamo portati infatti a credere che invece l’obiettivo dichiarato fosse quello del grande risultato.
Ma in questo caso si sarebbe dovuto chiamare magari uno Zaytsev come secondo opposto (e ottimo doppio cambio con Sbertoli), giocatore di maggiore esperienza, completo in tutto e che tira ancora discrete legnate; magari credere di più in Bottolo come terza banda; magari, dopo il doloroso forfait di Anzani, convocare un Di Martino come terzo centrale, bravo a muro e dotato di una battuta salto-float che negli ultimi playoff ha dato un certo fastidio tanto a Trento quanto a Perugia.
No, non ne veniamo a capo, siamo sinceri. Restiamo però dispiaciuti per quei magnifici 7 azzurri dal valore assoluto che senza dubbio avrebbero meritato di più da questa Olimpiade. Perché questa era e doveva essere la loro Olimpiade.
L’Olimpiade di Giannelli, Romanò, Michieletto, Lavia, Galassi, Russo, Balaso. Orgoglio di tutto il movimento, tutti campioni, nessuno escluso.
Siamo dispiaciuti anche per Fefè De Giorgi, il nostro Fefè nazionale. Da giocatore queste occasioni gli erano state negate, da allenatore meritava assolutamente di fare filotto dopo Europei e Mondiale. aveva detto di recente col suo proverbiale e irresistibile sorriso.
Forse non se l’è giocata come avrebbe dovuto. Forse è rimasto vittima della sua stessa creazione: il progetto, la (fin troppo) giovane Italia.
Ormai è quasi l’alba davanti ai nostri occhi. Ci siamo posti tante domande, abbiamo cercato tante risposte, ma quale fosse l’obiettivo di questa Italia a questi Giochi ancora ci sfugge.
Pazienza. Più dell’amarezza per la medaglia sfumata, però, ora resta comunque il ricordo del viaggio, delle tappe intermedie, delle belle vittorie su Brasile, Polonia e Giappone. Dei salti fatti sulla sedia, delle mani che ci tremavano sulla tastiera raccontando quelle partite, quei ragazzi, quelle emozioni che ci hanno regalato tante e tante volte.
Ripartiamo da qui, con la consapevolezza che restiamo sempre l’Italia, una delle più forti a questo bellissimo gioco della pallavolo. Prima o poi anche la più forte e basta. Anche a questi maledetti, eppure meravigliosi, Giochi Olimpici.
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