C’è chi dice che nella musica il segreto stia nelle pause. E chi – potrebbe essere il caso di Federico Ferrero – nel tennis assegna lo stesso ruolo ai silenzi. In campo prima di tutto, quando i giocatori si preparano a uno scambio e il brusio del pubblico si affievolisce; ma anche dietro al microfono, dove spesso la voce del telecronista deve adattarsi al ritmo e al movimento del gioco. Il tennis è uno sport di silenzi, sostiene Ferrero – che da anni lo commenta in televisione – e per questo il suo libro uscito da poco per add editore si chiama proprio così, “Parlare al silenzio” (con il sottotitolo: “La mania di raccontare il tennis”). Si tratta del racconto di come sia cambiato tanto lo sport (le sfide tra McEnroe e Borg, Sampras e Agassi, Federer e Nadal, fino a quelle attuali tra Sinner e Alcaraz si ritrovano nelle pagine del libro) quanto il mestiere di chi quello sport lo racconta. “Facile commentare il tennis, cinque parole e hai finito”, si sente spesso ripetere. Tutt’altro. E scrivendo di maestri indiscussi (a Rino Tommasi Gianni Clerici e Jacopo Lo Monaco sono intitolati tre distinti capitoli del libro), momenti di gloria, sogni avverati e/o infranti, Ferrero vuole anche – se non soprattutto – parlare di linguaggio e di informazione, che oggi pesca a piene mani dal web e offre un linguaggio sempre più standard e tecnicizzante. I tempi sono cambiati, forse, e forse è mutato anche il mestiere del giornalista sportivo (di come lo si imparava ieri e di cosa succede oggi), ma lo sport avrà sempre bisogno di narrazioni e narratori. Rispettosi del silenzio.
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