Sulla griglia di partenza è tutto pronto. I bolidi fremono, le tribune e i prati risuonano come nei giorni di festa e Imola è, come sempre, uno dei posti più belli del motorsport.
Il tempo non è granché: del resto, in questa stagione, da queste parti, non è difficile imbattersi in quattro stagioni condensate in un weekend di gara. Il cielo è blu e fa da pascolo a gruppi di nuvole bianche, che ricordano solo lontanamente le loro livorose sorelle, che la sera precedente hanno rovesciato sulle teste degli appassionati uno scroscio abbondante, solcato dai lampi; il vento sparge ovunque una nevicata di germogli di pioppo e se tendi bene l’orecchio, quando i motori tacciono, dal paddock puoi sentire rumoreggiare il fiume.
E’ il 21 aprile 2024, domenica di gara. Non è Formula Uno, ma Wec. Tutti sanno, in fondo, che non sono lì soltanto per la corsa: glielo rammentano le bandiere, le foto, i messaggi e i fiori lì al Tamburello, affastellati a mo’ di ex voto pagani. Tutti sanno che dieci giorni dopo cadrà la ricorrenza di quel weekend maledetto, di quando pensammo che ci era stato tolto tutto e niente fu più come prima. Tutti sanno e, magari, aspettano qualcosa, che puntualmente avviene, alle 12.42, poco prima dello start: la torre viene avvolta in un drappo gigante, che scende dolcemente a coprirla quasi del tutto.
La scritta campeggia su uno sgargiante fondo giallo, accanto allo sguardo del campione, incorniciato dalla visiera, accennato in blu. Per un po’, la febbre della gara imminente si acquieta e Imola sembra il disegno di un bambino: giallo sole, blu cielo, bianco nuvole e verde albero, una macchina – magari rossa – che corre su un nastro d’asfalto nero senza inizio e fine. Settantasettemila anime si sincronizzano come i semafori dello start e restano sospesi, come bambini che restano col pastello a mezz’aria perché un pensiero, un’idea, ha interrotto il loro disegno. Un applauso scioglie il raccoglimento e risuona dalle tribune ai prati, attraverso il parco e increspando le acque del Santerno.
Ayrton e Roland, Senna e Ratzenberger: due destini incrociatisi in una beffarda e tragica coincidenza, due sogni – diversi eppure simili – spezzatisi nell’arco di due giornate e un mondo, quello del motorsport, che cambia definitivamente. Oggi sono trent’anni da allora: i visi si sono trasformati, invecchiati, ma le lacrime che li rigano sono rimaste inalterate.
Senna per noi era un’idea, un’icona, un simbolo, ma, prima che una figura carismatica era anche e soprattutto un uomo dall’animo notevole, una persona nata privilegiata e cresciuta vincente, che tuttavia non aveva mai negato attenzioni e impegno verso i più deboli. Un genio delle corse, uno sportivo coriaceo, un purosangue umorale e indomabile dallo sguardo intenso, a tratti tormentato, spietato con gli avversari ma pronto a balzare giù dalla monoposto per soccorrerli in pista, se fosse stato necessario.
Mai riuscirò a dimenticare l’intervista fatta in strada, a una donna che, nella sua San Paolo, attendeva in strada il passaggio del feretro di Senna per dargli un ultimo saluto:«Non c’è più niente di bello in questo Paese!» esclamò. Quelle parole così disperate, espresse nella melodiosa lingua della bossa nova, erano il canto di una generazione perduta: quella speranza, quella prospettiva di riscatto che la figura di Senna aveva incarnato erano tramontate per sempre.
Trent’anni dopo, davanti a quello striscione teso, dò ragione a quella donna: niente è stato più lo stesso, nessun paragone ha o avrà mai più senso. Nessuno, anche se a lui si ispira o ne vorrebbe evocare la figura, farà cadere dall’entusiasmo quelle tribune ricolme di rosso solcando la pista di Imola a bordo di una Ferrari. Imola resterà per sempre uno dei posti più belli del motorsport ma sarà, al contempo, per sempre, la teca di due sogni tragicamente spezzati.
Io non#6HImola pic.twitter.com/jMjXp5WzSy
— Laura Di Nicola (@elledinicola) April 21, 2024
Fonte: https://www.circusf1.com/2024/05/senna-sempre.php
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