C ’è un legame indissolubile tra coach Sacchetti e l’Italia. “Meo” ha vinto tanto da atleta con la maglia azzurra. Ha allenato l’Italbasket prima di Pozzecco: nel luglio 2021 l’ha condotta alle Olimpiadi di Tokyo fermandosi ai quarti contro la Francia. Poi la separazione, a fine maggio 2022, con coda polemica, per una decisione che lasciò stupiti in molti. Compreso Sacchetti. «Ho imparato a conservare i ricordi migliori cercando di non lasciare spazio in memoria per quelli meno belli», taglia corto con saggezza: 71 anni ad agosto, l’emozione di sempre quando si parla dell’Italia. «Quando ascolto l’inno e giocano gli azzurri ho la pelle d’oca. Se lo trasmettono prima delle gare di campionato, invece, non avverto la stessa emozione».
Da atleta: argento alle Olimpiadi di Mosca 1980, oro agli Europei e argento ai Giochi del Mediterraneo 1983, bronzo agli Europei 1985. Da allenatore: ottavi ai Mondiali di Cina 2019, vittoria del preolimpico di Belgrado e quarti alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021. Da 1 a 100, che valore emotivo dà a queste due vite?
«Da giocatore 100, da allenatore 30. Credo sia più bello giocare che allenare. Da atleta ho vinto tanto in azzurro. Da allenatore mi sono tolto belle soddisfazioni e ringrazierò sempre Ettore Messina, fu lui a propormi».
Ricorda come andò?
«Estate 2017. Mi telefonò. Pensavo volesse chiedermi un parere sui miei giocatori in azzurro. E invece: “Ti piacerebbe allenare la Nazionale?”. Mi venne quasi un colpo. Mai mi sarei aspettato una cosa del genere. “Il presidente già sa tutto, è fuori, poi ti chiama”, disse. Fu una sorpresa bellissima».
È vera la storia che dopo la qualificazione alle Olimpiadi voleva cedergli nuovamente la panchina?
«Verissima. Dopo aver battuto la Serbia, rivelai questo mio proposito allo staff. Loro mi scoraggiarono dicendo: “Te la sei guadagnata, meriti di proseguire”. Volevo dare la squadra a Ettore per sdebitarmi: ha vinto ovunque, ma i Giochi gli mancavano».
L’Italia di oggi ha tanto della squadra di Sacchetti: Spissu, Mannion, Tonut, Melli, Ricci, Abass, Polonara, Pajola. E Gallinari, che allora la raggiunse alle Olimpiadi. Nove su dodici sono gli stessi. Che idea ha della Nazionale di Pozzecco?
«Rispetto a tre anni fa è un gruppo più maturo che mostra uno spirito vincente. Anche sotto di 9 punti contro la Spagna, li hanno ripresi e vinto con carattere».
Cosa le sta piacendo, caratterialmente, dell’Italia?
«La coesione, la grinta, la voglia di spingere forte e la consapevolezza nei propri mezzi. Il test contro la Spagna era impegnativo, non è da tutti giocare con tanto ardore in casa loro, come se in palio ci fosse una qualificazione. Bella iniezione di fiducia».
Entrando negli aspetti tecnici, cosa la colpisce?
«Le gerarchie chiare, la difesa aggressiva. Con il quintetto un po’ basso siamo imprevedibili e difficili da prendere. Gallinari gioca di più spalle a canestro: vantaggioso o meno, sarà il campo a dirlo».
Quale giocatore la impressiona di più?
«Melli sa giocare e comunicare come pochi. Un capitano vero. Poi c’è il talento di Gallinari, la fisicità di Abass, la maturità di Mannion, esploso quando guidavo l’Italia. Tonut è cresciuto molto. Spissu gode di maggiore spazio, mi fa piacere: nel 2021 veniva da un infortunio. Immaginiamo cosa sarebbe stata questa squadra con Fontecchio…».
Chi può fare la differenza?
«Pajola, difensore straordinario con un difetto: troppo altruista, pensa più alla squadra che a sè. Eppure i colpi per segnare li ha. Affiancato da campioni come Melli e Gallinari, preferisce lasciare il tiro a loro».
Dove può arrivare l’Italia?
«Ci si potrà divertire, ma un passo per volta. Attenzione nel gironcino. La squadra sa quanto vale ma deve essere sempre concentrata, senza guardare i nomi degli avversari».
Il suo giudizio su Pozzecco?
«L’ho allenato, era vulcanico da cestista ed è rimasto tale da coach. Si fa amare dai suoi giocatori: questo vale più di tanti aspetti tecnici e tattici».
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