“Basket e fede. Amo già l’Italia”: alla scoperta di Rayjon Tucker

TORINO – Contro la corazzata di Eurolega c’è un ragazzo su cui l’Eurolega ha messo gli occhi addosso. Ma Rayjon Tucker alla prima stagione europea ha scoperto di amare l’Italia e l’incanto sul mare. Mvp di dicembre in A, della 20ª giornata, protagonista di schiacciate tonanti, Tucker non è solo muscoli ed energia: 15,5 punti con l’80% ai liberi, il 57% da due, il 42% da tre. Rayjon da Charlotte ha firmato pure il quarto vinto dalla Reyer su Pistoia: 23 punti e 8 rimbalzi. Sarà interessante vederlo alla prova di una difesa d’acciaio, fisica e organizzata. L’abbiamo incontrato in hotel, berretto, sorriso gentile e disarmante 
 
 
Tucker, impressioni sui primi mesi in Italia e nel basket europeo? 
«Io amo già l’Italia: la gente è stupenda, i tifosi grandi, il cibo è meraviglioso. E la società, specialmente, mi fa sentire come a casa, attenta a ogni necessità. Il basket, è molto competitivo, il QI è elevato, c’è qualità, fisicità. Perciò questo basket produce così tanti talenti». 
 
Lei si è adattato subito.
«Il mio primo anno è stato in Australia e questo mi ha aiutato. Arrivato qui sapevo cosa servisse per aprire il mio gioco, mettere tiri e giocare nel modo giusto. È diverso rispetto all’America, ma è sempre basket.». 
 

In quali aspetti del gioco il nostro basket è così diverso? 
«La fisicità innanzitutto, devi imparare a giocare con i contatti, a come usare i blocchi ed evitarli in difesa. Sì, è un gioco più fisico. E gli spazi: il campo in America è più largo e i tre secondi difensivi, oltre a quelli offensivi aprono soluzioni diverse, tutto questo contribuisce a costruire tattiche diverse. Poi di là è un basket più dinamico, qui è più gioco di squadra, il tempo è più breve. Quindi i punti pesano di più. Comunque alla fine, contano le basi e l’amore per il gioco». 
 
Lei fisicamente avrebbe potuto giocare a football? 
«Ho giocato anche a football, ovviamente. E non ho preso seriamente il basket fino alla scuola di decimo grado (sarebbe il secondo anno di superiori ndr). Ma nell’estate verso l’11° grado ho conosciuto Jeff McInnis, che ha giocato 13 anni nella Nba e mi ha fatto innamorare del basket. Jeff mi ha messo la palla in mano e mi ha mostrato cosa servisse. Lui è stato uno dei migliori giocatori senza avere un talento particolare e mi ha illustrato difesa, durezza, energia. E io ho sempre amato le sfide, così ho cominciato a lavorare e ripeto, mi sono innamorato». 
 
Lei ha provato per tre stagioni nella Nba dopo il college ad Arkansas Little Rock.Capitolo chiuso? 
«Sono uno che cerca di comprendere il presente, concentrato su ciò che si può prospettare. Quindi ora ho in testa di giocare bene qui e provare a vincere un campionato. Sono ancora abbastanza giovane, ho 26 anni. Dunque non penso che la porta sia definitivamente chiusa, ma non è nei miei pensieri. Certo sarebbe bello tornare a casa, per la famiglia e altro. Ma amo l’Italia, questo club e la mio principale obiettivo è Venezia. Il contratto? Ho un anno, ma onestamente penso che potrei restare per almeno un altro o due». 
 
Difficile lasciare casa? 
«No, io sono una persona molto spirituale. Mi basta pregare, avere una conversazione con Dio per avere fede e fiducia in ciò che sto facendo. Dio è sempre con me, qualsiasi cosa accada». 
 
Non è facile essere spettacolari e così efficienti. E raramente una giocatore grosso tira bene. 
«Io lavoro molto sul mio basket durante l’estate, su qualsiasi situazione e tiro. Per essere pronto. So di avere limiti, se sei un atleta devi sempre avere la spinta a migliore. Uno dei miei maggiori talenti è andare al ferro e però dove tirare bene per rendere più facile ciò che mi piace davvero». 
 
Ha scelto il numero 59, per un suo amico morto, vero? 
«Sì, quando ero con i Philadelphia 76ers avevo il 9. Quell’anno il mio amico Terrence Clarke, come un fratello minore, giocava nella Ncaa con il numero 5. Aveva appena deciso di entrare nella Nba, sarebbe stato scelto dopo la stagione a Kentucky. Ma è morto in un incidente stradale a Los Angeles dopo un provino. Per onorarne la memoria ho deciso di combinare i due numeri. Non sapevo se mettere il 95 o il 59. Ne ho parlato con mamma che mi ha ricordato come mio nonno Arthur, a cui ero molto legato, era morto a 59 anni. Lì ho trovato il motivo della scelta»
 
Lei ha un sacco di tatuaggi. Quanti? E qual è il preferito? 
«Il conto l’ho perso, il preferito è la scritta “all god all faith all grown”, la sintesi della mia fede: avere fede in Dio ti porta a lavorare per crescere ed essere pronto ad affrontare tutto» 
 
Cosa ama fare fuori dal campo? 

 «Innanzitutto ballare Mia madre ha una scuola di danza, io ho ballato da quando avevo due anni. Poi ovviamente la musica, la ascolto, la faccio. Rap, il mio preferito è J.Cole. Mi piace la moda, creo vestiti, ho un mio brand che lancerò a breve. E poi leggo la Bibbia e amo dormire». 
 
Social network? 
«No, cerco e posto cose di basket. Ma per il resto non è realtà, puoi mettere ciò che vuoi e come vuoi, dare una visione diversa da ciò che sei. Puoi manipolare tutto per mostrarti come vuoi essere visto». 
 
Giocatore preferito? 
«Tutti ovviamente dicono Jordan, LeBron Kobe, il mio da bambino era Kobe. Ma i miei preferiti sono Tracy McGrady, Russell Westbrook, che giocavano duro, Derrick Rosse, Dwyane Wade». 
 
Cosa pensa di Danilo Gallinari che ha scelto Milwaukee, lei ci ha giocato. 
«Per giocare a quel livello devi essere grande. Milwaukee è una super organizzazione incentrata su Antetokounmpo. Danilo può fare bene e aiutare i Bucks». 
 


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/basket

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