PESARO – Bargnani, è consapevole che il suo ritiro non è mai stato annunciato?? «Vero. Non ho fatto né un comunicato stampa, né la partita del cuore, ma non sto giocando altrimenti lo sapreste».
Che fa oggi il Mago?
«Mi dedico alla famiglia, ho un bambino di poco più di due anni e lavoro nel campo immobiliare e finanziario».
Suo figlio ha già preso la palla da basket in mano? Se un giorno volesse giocare a basket, Bargnani sarebbe favorevole?
«Il pallone lo conosce già, ma da me non avrà mai alcun tipo di pressione, è vitale solo che faccia sport, uno dei valori in questo mondo che ti tiene lontano da tante situazioni negative».
Ai ragazzi che le chiederanno consigli al playground cosa dirà?
«Dipende dove uno vuole arrivare, ogni traguardo ha il suo prezzo da pagare. Se vuoi arrivare in alto ci sono anche tanti aspetti della vita a cui devi rinunciare».
Quali sono stati i suoi?
«Per dedicarti così tanto a uno sport, devi sacrificare i legami, le amicizie, fette di infanzia ed adolescenza, feste, gite scolastiche, ricordi che non avrai… ma il traguardo che stai inseguendo ti fa sopportare tutto».
Un romano che non ha mai giocato a Roma: è un rimpianto?
«Ci ho giocato, ma in B2. Non è dipeso da me, però: la Virtus mi propose di andare in prestito a Rieti. La scelta, perciò, fu tra la Benetton Treviso e la Mens Sana Siena. Dopo aver visto la Ghirada, non ebbi il minimo dubbio, era all’avanguardia già vent’anni fa. E poi c’erano Gherardini e Messina. Fu una decisione azzeccata, da lì spiccai il volo per l’Nba».
La capitale italiana non ha più il basket in serie A: sensazioni?
«Una situazione grottesca. Quand’ero ragazzino al PalaEur c’erano migliaia di persone e campioni con un effetto mediatico incredibile sulla città come Myers. Passare da quell’apoteosi lì a questo deserto è tristissimo, soprattutto per i ragazzi di oggi che non hanno quelle emozioni».
A proposito di campioni, che effetto le fa rivedere Gallinari in maglia azzurra?
«Ammiro la sua tenacia, ricominciare ogni volta dopo tutti gli infortuni che ha avuto significa avere un grande cuore. E nessuno può capirlo meglio di me, visto che ne ho subìti tanti: dopo essere stati fuori dei mesi ripartire da zero è tosta, ti svuota».
È questa la ragione per cui ha smesso?
«È un mix di fattori, ma questo pesa. Nelle ultime cinque stagioni ho saltato più partite di quelle che ho giocato. Poi nella vita le cose cambiano: motivazioni, interessi, dinamiche».
Quindi vedere Belinelli che a 38 anni ancora si sbatte le sembra folle?
«No, la sua passione gli brucia dentro come quando aveva 18 anni. Lo posso testimoniare, ci vediamo spesso, dato che abitiamo entrambi a Bologna».
Poz coach della Nazionale ha rivoluzionato il ruolo del ct?
«Al di là delle questioni tecniche su cui non mi addentro, ha delle caratteristiche atipiche che altri non hanno in un contesto come quello della Nazionale dove i giocatori arrivano stanchi dalla stagione e trovano un clima più leggero che aiuta. Infatti tutti lo adorano».
Che rapporto ha con i social?
«Inesistente. Richiede di fare cose che odio come condividere i momenti privati, della vita personale. Oggi fa parte del lavoro di uno sportivo, ma io proprio non sono capace, è come avere una telecamera in casa…».
Chi sono gli amici veri rimasti dal mondo della palla a spicchi?
«Dall’America pochi: Shane Larkin, che poi ho ritrovato al Baskonia, Turkoglu che mi ha anche invitato a Istanbul. In Italia a parte Beli e Gallo, Mordente e Soragna con cui sono rimasto legato dai tempi di Treviso. Teo è il mio best friend».
Segue ancora l’Nba e si aspettava Boston campione?
«Certo, i playoff Nba sono sempre uno spettacolo. Non faccio mai pronostici, ma trovo interessante che ultimamente stiano vincendo sempre squadre diverse: non accadeva da molto e aumenta l’imprevedibilità della lega».
LeBron James giocherà col figlio: una favola?
«Effetto stranissimo. Quando LeBron è entrato nella lega era proprio un’altra epoca eppure a distanza di un quarto di secolo ancora domina. Forse un giorno ci rivelerà il suo segreto».
Lui è un marziano, lei è il Mago: chi le appiccicò questo soprannome?
«Pittis. Ma non ha niente a che fare con quello che facevo sul campo. Un giorno sotto la doccia mi disse: lo sai che hai un cognome da mago? Poteva andare peggio, no?».
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