Per scrivere la storia a Parigi o per riscrivere la propria storia. Soprattutto, per la gloria. Più che una partita, la finale al Roland Garros tra Iga Swiatek e Karolina Muchova sarà una collisione tra due mondi. Entrambe introverse, riservate, per niente affamate di ribalta mediatica, ma la polacca in campo si trasforma in un robot quasi senza difetti, mentre la ceca diventa un’artista, dalla mano raffinata e dalla visione di gioco elegante, quasi vintage.
Swiatek è arrivata fino in fondo a Parigi per la terza volta negli ultimi quattro anni. Numeri che profumano di Rafa Nadal, soprattutto perché – non bisogna dimenticarlo – Iga ha 22 anni. Tanti per l’esperienza accumulata negli Slam, pochi, troppo pochi per non ipotizzare un futuro da doppia cifra di titoli al Roland Garros. Poi il tennis è imprevedibile, si sa. E potrebbe essere imprevedibile a cominciare da come risolvere il rebus che sicuramente gli offrirà Karolina Muchova, alla prima finale in carriera in un Major, appena alla terza nel circuito WTA. I back di rovescio con i quali la ceca si propizia le discese a rete potrebbero essere cryptonite per una Swiatek che, negli anni, se ha dimostrato di soffrire un prototipo di rivale, è proprio colei che varia da fondocampo per poi spezzarle il ritmo scendendo in avanti. Citofonare ad Ashleigh Barty, colei dalla quale la polacca ha ereditato lo scettro di regina, ma che non è mai riuscita a sconfiggere. E proprio Muchova, a ben vedere, sembra incarnare un po’ le caratteristiche di Ash, inclusa la calma olimpionica con cui gestisce i momenti di difficoltà. E con cui salva i match point, come in semifinale contro la Sabalenka: sotto 2-5, 30-40, la ceca ha risposto scagliando un’ottima prima di servizio e ha chiuso con un dritto messo nel punto giusto.
Swiatek, invece, in semifinale ha perso otto game. Un numero normale per chiunque, ma troppi per lei. Otto game che sono un terzo di quanti ne aveva lasciati per strada nei precedenti cinque turni, tra Cristina Bucsa, Claire Liu, Xinyu Wang, Lesia Tsurenko e Coco Gauff. Sotto 15-40 sul 4-4 nel secondo set in semifinale contro Beatriz Haddad Maia, una che non era mai arrivata così in fondo in un Major, dal pianeta Iga sono iniziati ad arrivare persino segnali di nervosismo, di tensione, di paura di perdere. Comunque vada la finale, la polacca se non altro sa di rimanere numero 1 nel ranking almeno fino a Wimbledon. Dovesse difendere il titolo vinto un anno fa, Swiatek entrerebbe in un ristretto club di tennisti che hanno vinto le prime quattro finali Slam giocate in carriera che comprende Monica Seles, Roger Federer e Naomi Osaka. Nonché aggancerebbe una tale Serena Williams per Roland Garros vinti. Roba da fenomeni.
Un’ultima curiosità: un anno fa Karolina Muchova lasciava Parigi indossando lo stivale ortopedico per tenere il piede fermo dopo una brutta distorsione occorsale nel match di terzo turno contro Amanda Anisimova. Un anno dopo, la ceca proverà a riscrivere la propria storia. Come già successo a Iga Swiatek, che nel 2017 fu costretta a uno stop di otto mesi per un’operazione alla caviglia, i cui legamenti andarono in frantumi, mettendone a rischio la carriera. Non è mai troppo tardi per ricominciare. E per giocare la finale di uno Slam.
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