“Credo sia illogico che noi giocatori non possiamo avere loghi delle aziende di scommesse sulle nostre maglie, oltre al fatto che non possiamo ricevere una giusta parte, e intendo almeno il 50%, dei proventi che i tornei raccolgono direttamente dal mondo delle scommesse”. A parlare, riporta Agipronews, è Novak Djokovic in un’intervista sui canali social della Professional Tennis Players Association, sindacato per tennisti creato, tra gli altri, proprio dal serbo nel 2019. “So che il 95% dei miei colleghi si farebbe sponsorizzare da un’aziende, e io approverei la cosa”. Il campione dell’ultimo US Open si è detto consapevole del fatto che una buona parte dei soldi che i tornei acquisiscono dai contratti di sponsorizzazione confluisca nella cosiddetta “pensione dei giocatori”, fondo a cui tuttavia si può accedere solo dai 50 anni, lasciando oltre 15 anni di incertezza per un tennista medio, che si ritira intorno ai 35 anni.
“I giocatori non conoscono bene la situazione economica legata al mondo dei dati e delle scommesse – ha continuato Nole. – E se lo sanno non si stanno spendendo a sufficienza per ottenere ciò che spetta loro: danno troppo e ricevono troppo poco.” La battaglia, secondo il serbo, deve essere combattuta perché sono i giocatori l’elemento più importante del tennis, eppure sono gli unici a non beneficiare dei contratti con le aziende di scommesse. La controversia si fa ancora maggiore considerando che in ogni altro sport gli atleti traggono vantaggio da questo tipo di sponsorizzazioni; ad esempio, nel calcio i singoli calciatori non possono stringere accordi con le aziende, ma ricevono compensi dalle proprie società, che spesso hanno contratti con operatori di betting. “Le scommesse sono legali e le aziende guadagnano centinaia di milioni di dollari solo dal tennis, ma i giocatori raccolgono solamente le briciole. – Conclude Djokovic. – Si fa molta attenzione alla prevenzione del match fixing, ma si perde di vista il problema principale”.
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