Legovich, coach di Trieste: “Città mia. Tutto l’anno in 4 giorni”

Legovich, come ha vissuto la stagione da debuttante?

«In primo luogo con grande orgoglio: dopo 7 stagioni da assistente un’opportunità unica per me e per il panorama cestistico del momento. Non è così comune avere il coraggio di questa società. Da triestino l’orgoglio è più grande, un’extra motivazione. E i proprietari subentrati mi hanno confermato fiducia, inattesa dopo i ko con Reggio Emilia e Scafati».

Perché i giovani allenatori hanno meno opportunità?

«Oggi penso che per allenare e gestire una squadra, ci voglia anche molto altro. Un aspetto che complica è la gestione dell’extra, il rapporto con la stampa e con i social, cassa di risonanza da gestire nel modo giusto. In ragione delle spese, tante società non hanno pazienza o coraggio di investire in prospettiva su un giovane. E ci sono momenti difficili cui resistere, ne abbiamo avuti e non ne siamo ancora usciti. Siamo alla vigilia di una gara decisiva».

Deangeli, triestino e capitano a 22 anni, ha ricordato che quando aveva 13 anni lei gli disse “ci vediamo in A”. Veggente?

«Allenavo la rappresentativa provinciale di Trieste, Deangeli era di un’altra società, mi colpì la sua passione e voglia di migliorare. A fine torneo dissi che se avesse mantenuto passione e fame, Lodovico sarebbe arrivato in A. Io però non mi immaginavo in A, non così presto».

Bossi, Campogrande, Ruzzier e Lever, 53 punti su 85 in 4 nello spareggio salvezza. L’italiano sente più l’attaccamento?

«Per background culturale il giocatore italiano comprende più facilmente cosa significhi una gara simile, gli Usa non sono abituati. Eppoi avere tre giocatori di Trieste più Campogrande e Lever alla seconda stagione qui ha creato quel tipo di amalgama, di affetto loro verso la città stessa. Avendo in spogliatoio questo tipo di comprensione, è più facile per tutti».

Si pensava foste spacciati per il caso doping che vi ha tolto Davis. Cosa ha detto ai ragazzi?

«È stato un altro imprevisto e squarti-acque, l’abbiamo appreso scendendo dal pullman al palasport di Sassari. Ci ha fatto bene subito dopo Sassari viaggiare e stare tre giorni a Pesaro. Lì abbiamo potuto parlare, preparaci, superare il momento. Il gm Ghiacci è venuto a trovarci, ci siamo compattati ancor più. A Pesaro siamo crollati nel fi nale, con Verona abbiamo giocato 2 quarti di gran rabbia, abbiamo subito rimonta ma siamo stati bravi a reagire».

Assistente di Dalmasson e Ciani. E per il gioco dice di rifarsi a Ramondino e Scariolo.

«Ho lavorato con grandi due capi allenatori come Eugenio e Franco che mi hanno dato tanto con spunti diversi, è il bello di avere più persone al fianco. Poi studio da autodidatta, guardando tantissima Eurolega, confrontandomi. Importantissima la Nazionale Under 20 con Magro, non solo uno dei migliori, ma con lunga esperienza anche da assistente».

Alla nomina ha provato paura?

«La nomina mi è sembrata più grande di me. D’altra parte erano 7 anni che lavoravo giorno e notte per l’obiettivo. Non si è mai pronti fino in fondo, ma bisogna saltare sul treno in corsa, trovare posto e sedersi».

Come si allenano i giovani di oggi?

«Per età ho più facilità a rapportarmi, bisogna trovare la chiave, vanno aiutati molto a essere autonomi e responsabili in campo, fare scelte consapevoli. È il passo più grande come persone e poi giocatori. Ho fatto mia la parola magica di Messina: autoesigenza. Ecco, tanti non hanno il fuoco dentro».

Padroni del destino, domenica a Brindisi

«È fondamentale non pensare agli altri campi, essere in settimana molto bravi a recuperare energie e resettare dalla bella vittoria, in 4 giorni ci rigiochiamo tutto».


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/basket

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