A pochi giorni dalla settima giornata di campionato, la Halley Thunder Matelica continua a sognare in grande, forte delle quattro vittorie consecutive che stanno permettendo loro di occupare la quarta posizione in classifica con una gara da recuperare. Nell’ultimo turno infatti non si è disputato lo scontro al vertice contro la W.APU Delser Crich Udine – rimandato al 6 dicembre – ma il record di quattro vittorie e una sola sconfitta mostra come la compagine marchigiana sia ben più di semplice comparsa. Non solo l’attacco più prolifico della Serie A2 (dopo cinque partite) con 76.2 punti a partita, ma è anche la squadra che cattura più rimbalzi con 45.0 di media e anche quella che fa registrare la valutazione complessiva più alta con 88.8; tuttavia questi sono solo numeri grezzi rispetto a quanto di buono coach Domenico Sorgentone e le sue ragazze hanno fatto vedere in questi primi quaranta giorni. La Halley Thunder ha ambizioni differenti rispetto alle due passate stagioni, sviluppate attraverso un processo graduale in cui la fretta non è certamente alla base delle idee del Presidente Euro Gatti e ha un minimo comune denominatore che risponde al nome di Débora Gonzàlez. La playmaker italo/argentina – originaria di Lomas de Zamora, ma di formazione cestistica italiana – sta consolidando il suo status di giocatrice simbolo di Matelica: miglior realizzatrice della serie cadetta con 22.4 punti a partita, seconda per assist distribuiti con 5.2, terza per recuperi con 3.2 e al primo posto per valutazione media con 25.2, un’autentica trascinatrice. È proprio la classe 1990 a raccontarci le sue impressioni riguardo l’inizio di stagione, lasciandoci inoltre qualche aneddoto su ciò che ha reso “Pepo” questo tipo di giocatrice.
Miglior realizzatrice del campionato di Serie A2 e la Halley Thunder Matelica in striscia positiva da quattro partite. Che tipo di aria si respira e quali sensazioni hai in questo momento?
Siamo cresciute molto di settimana in settimana, soprattutto dopo la sconfitta contro una squadra forte e attrezzata come la Ecodem Alpo; successivamente abbiamo tirato su la testa, consapevoli dei nostri mezzi a disposizione e abbiamo ottenuto quattro vittorie consecutive. Se sono la miglior realizzatrice del campionato il merito va alle mie compagne che fanno davvero tanto in campo e si fidano di me, perciò io non potrei essere più felice del gruppo e dei risultati che stiamo ottenendo.
Oltre ad essere una scorer di alto livello primeggi anche in altre statistiche come assist, palle rubate, valutazione e sei costantemente presente a rimbalzo. Possiamo dire quindi che Débora Gonzàlez è molto più di una giocatrice che “sa fare canestro”?
Certamente, ma penso principalmente sia grazie all’esperienza acquisita in tutti questi anni: in A2 ci sono tantissime giocatrici giovani e a volte mi basta leggere uno sguardo per sapere dove andrà la palla così da essere sempre un secondo avanti a loro; per quanto riguarda i passaggi decisivi alle compagne, anche qui la carta dell’esperienza gioca un fattore importante, oltre però all’intesa formidabile che abbiamo tutte insieme.
Il presidente è entusiasta dell’ambiente e della squadra, così come dei risultati ottenuti perciò le ambizioni si fanno sempre più grandi col tempo che passa. Voi come gruppo quali tipo di obiettivi a breve e lungo termine vi siete prefissati?
Quando sono arrivata qui, la società disputava il campionato di Serie B e l’obiettivo era vincere qualche partita. Anno dopo anno il roster si è attrezzato sempre meglio fino alla conquista della promozione in Serie A2; poi abbiamo iniziato a mettere l’asticella sempre più in alto passando dalla salvezza ai play-off e così ogni stagione ce ne poniamo uno diverso. Ovviamente tutte vogliono arrivare alla Coppa Italia o alla promozione in A1, noi lasciamo che sia il tempo a parlare e le nostre capacità, poiché vedremo davvero di che pasta siamo fatte. Secondo me possiamo arrivare davvero in alto, ma siamo solamente agli inizi e anche altre rivali con obiettivi simili stanno capendo come compattarsi per puntare successivamente a qualcosa di più importante.
Dopo tutti questi anni ormai la città di Matelica ti ha reso il suo simbolo, ma vista la tua esperienza in A1 e in generale nella pallacanestro, quale è stato l’impatto che hai avuto con la città appena sei arrivata?
Quando sono arrivata qui sono rimasta colpita a livello emotivo. Io avevo appena terminato l’esperienza con Napoli che era fallita, poi sono andata all’Athena Roma e il destino è stato il medesimo, perciò ne venivo da esperienze deludenti a causa di chi non ha vero interesse verso la pallacanestro e verso le giocatrici. Ero abbattuta e non volevo più saperne di giocare, ma qualche tempo dopo è arrivata l’Halley Thunder Matelica che ha riacceso la mia passione per questo sport. Posso dire quasi di essere cresciuta insieme a questo progetto e a questo sogno, ci ha coinvolto entrambi emotivamente e piano piano anche la gente della città ha cominciato a crederci venendo al palazzetto per tifarci e sognare insieme a noi.
Sapendo quanto voi sudamericani siate legati alla vostra città e alle vostre usanze, quanto ti manca l’Argentina e indossare la maglia albiceleste?
Certamente! Casa è casa e c’è la mia famiglia, però anche qui in Italia le mie abitudini non le perdo. Il mate [the tipico dell’Argentina, ndr] mi “segue” sempre, per me è come una religione: al mattino si beve mate, al pomeriggio si beve mate, in compagnia si beve mate; per noi significa unione, è qualcosa da condividere in qualsiasi momento così come qui si usa andare a prendere un caffè tutti insieme. Allo stesso modo posso dire che indossare la maglia della nazionale è sempre stato tutto per me: a volte la gente fatica a credermi quando glielo racconto, ma quando qui tutti erano in vacanza io andavo in Argentina per allenarmi e giocare i tornei con la nazionale; inoltre non avevo nemmeno il tempo di stare un po’ con la mia famiglia perché ricominciava la stagione e dovevo tornare in Italia. Questo per dire che indossare quei colori rappresenta tutto per me, sentire l’inno nazionale, partecipare alle varie competizioni, perciò tornare in Argentina senza fare le vacanze non è mai stato un peso, anzi semmai un onore. Ho anche un tatuaggio che rappresenta il mio paese, perché volevo qualcosa riguardante le mie origini che rimanesse sempre con me in maniera indelebile. Sono ovviamente legata anche all’Italia e tifo per le ragazze quando giocano in nazionale, però non fatemi scegliere quale delle due preferisco perché non posso rispondere [ride, ndr].
C’è una giocatrice con cui hai sempre sognato di misurarti o a cui ti sei ispirata nella tua carriera?
Per mia fortuna ho avuto l’opportunità di giocare contro la mia giocatrice preferita che è Diana Taurasi. Lei ha origini argentine e io ho potuto regalarle personalmente – in quanto capitano – una maglia della nostra nazionale con stampate sopra il suo cognome e il suo numero. Giocarci contro è stato davvero un privilegio, ma non solo: mi ha anche fatto un fallaccio dopo pochi minuti che eravamo in campo ed è venuta subito a chiedermi scusa per l’accaduto. Qui in Italia invece ho avuto la possibilità di giocare contro e in squadra insieme a Chicca Macchi che reputo la giocatrice italiana più forte della storia, senza nulla togliere a talenti attuali come Matilde [Villa, ndr] o Cecilia [Zandalasini, ndr] per esempio che fanno a gara per chi prenderà il suo testimone, però Chicca la reputo su un altro livello. Posso dire di aver giocato contro l’élite della pallacanestro femminile, perciò alzo le mani e mi reputo davvero fortunata per quanto raggiunto nella mia carriera.
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