«Siamo fuori di testa ma diversi da loro». Forse solo i Maneskin sono in grado di spiegare come sia possibile coniugare una “SF 75”, la cui competitività è fuori discussione, con la modestia del capitale umano di una Ferrari che al volante e al “muretto” ha la stessa tenuta di un colabrodo. In Francia non è tanto a stupire l’incidente di un Charles Leclerc che proprio nel momento in cui sembra risolvere il duello con Mark Verstappen, va “a muro”. E tutto questo in un circuito giocattolo dove le barriere bisogna andarsele a cercare.
Quello che colpisce è l’atteggiamento del dopo corsa. Molto simile a quello di un bambino imbarazzato chiamato dai genitori a
giustificarsi per una marachella. Mani dietro la schiena e sguardo basso. Segno di una fragilità capace di mandare in frantumi qualsiasi talento.
E tutto questo proprio nel momento in cui la Ferrari aveva deciso di consegnargli il ruolo di prima guida. Con un Carlos Sainz pronto al sacrificio. Ma poi in pista lo spagnolo, partito dall’ultima fila per il cambio del motore, fa la gara della vita.
Alla quale Charles Leclerc non fa che rispondere con una resa incondizionata che rischia di trasferirsi a tutta la Ferrari. L’incertezza del francese diventa l’incertezza dell’intera squadra. Capace di dare il meglio di sé in qualifica, ma spesso balbettante in gara, e un campione incerto può essere un gran pilota ma non un grande leader.
E di leader in pista ce ne sono tanti. A partire da un Max Verstappen, le cui spalle sono blindate da un team che pende dalle sue labbra. E non tutti perdono il loro tempo in castigo dietro la lavagna.
Lewis Hamilton e George Russell su quella lavagna sono pronti a scrivere a caratteri cubitali. E tutto questo grazie anche alle ripetute pause prestazionali della Ferrari che hanno consentito l’inaspettato recupero della Mercedes e della McLaren.
Per Maranello il tempo della ricreazione è finito. La campanella ha suonato. È l’ora di tornare in classe.
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