ROMA – Ottant’anni di una leggenda, ottant’anni di Giacomo Agostini. La storia, il mito, la spregiudicatezza vincente di un essere umano capace di vincere la bellezza di 15 titoli mondiali: mai nessuno ha fatto bene quanto lui. Una vita sempre al massimo, sempre al vertice del motorsport a due ruote, anche da dirigente, quando nel 1982 prende le redini del suo Agostini Team, portando tre volte al trionfo iridato Eddie Lawson. Insomma, dovunque “Ago” abbia messo piede, la vittoria è entrata con lui a braccetto. E le sue statistiche nel Motomondiale, al limite dell’incredibile, fanno ancora oggi da faro a chiunque sogni di correre su una moto: 190 Gran Premi disputati, 159 podi complessivi di cui 122 festeggiati sul gradino più alto, 12 mondiali consecutivi (dal 1967 al 1973) in classi diverse (350cc e 500cc) – sempre con la scuderia MV Agusta -, di cui tre (1968-1969-1970) vinti trionfando in tutti i Gran Premi. Inoltre, Agostini è ancora oggi l’unico italiano ad aver vinto la 200 miglia di Daytona: era il 10 marzo del 1974, per un clamoroso debutto in Yamaha.
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“Un mito lungo 80 anni”: ecco il libro della leggenda Agostini
Sulla sua carriera scintillante fatta di trofei e vittorie su circuiti oggi improponibili per la loro pericolosità, come il Tourist Trophy della Gran Bretagna, si è già detto molto. Agostini ha però inoltre rappresentato una figura d’avanguardia anche per quanto riguarda il modo di vedere lo sportivo. Carismatico, seducente, sfrontato quanto basta e un talento a rasentare la perferzione: Agostini è stato uno dei primi atleti a riempire coi suoi affaire amorosi le pagine dei rotocalchi, che andavano di pari passo con i quotidiani sportivi che ad ogni weekend ne tessevano le lodi per le traiettorie impossibili disegnate in pista. Il suo contratto con la Yamaha dopo aver fatto incetta di successi con la MV Agusta fece molto scalpore per l’epoca: 300 milioni di lire per un biennale e tante polemiche per un presunto tradimento al team italiano. Solo nuvole passeggere, poi ancora due mondiali con la casa di Iwata, prima del ritiro nel 1977, per la fine di un’era che ancora oggi è marchiata a fuoco col suo nome, la cui eco risuona ancora oggi nella Hall of Fame della MotoGp.
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