E’ tra i 7 corridori nella storia del ciclismo ad avere vinto tutti e tre i grandi giri, ha saputo vincere le classiche “monumento” ed è il corridore italiano più vincenta da Gimondi a oggi. Non è mai stato “personaggio”, ma Vincenzo Nibali, che ha annunciato il ritiro, è stato un fuoriclasse: il suo curriculum parla per lui. E ora cosa farà da “grande”?
NIBALI SI RITIRA A FINE STAGIONE: L’ANNUNCIO
Sveglio, svelto, capace di vedere l’occasione, completo, volate escluse, ecco il campione che ha vinto di più da Felice Gimondi a oggi in Italia, qualità più che quantità in 18 anni da prof, grandi giri e classiche, facendo uscire il ciclismo dal mondo degli “specialisti”, dai Contador e Froome per capirci, per portarci a Pogacar. Certo, detto così, sembrerebbe un traghettatore che, per uno di Messina, non è poi un’offesa, ma Nibali è uno dei 7 grandi che hanno vinto Tour de France, Giro d’Italia, due volte nel suo caso, e Vuelta. Podi, quattro al Giro, oltre alle due maglie rose, uno al Tour, oltre alla maglia gialla, due alla Vuelta, e, soprattutto, ha saputo aggiungere una Milano Sanremo (2018) e due Giri di Lombardia (2015 e 2017), corse monumento. Se volete aggiungiamo anche la quantità comunque, più di cinquanta corse. Per diventare grande è passato dalla Toscana, dove ha imparato il mestiere, dove ha vissuto, dove è di casa. Sa guidare la bici come pochi, discesa e non solo, basti pensare al Tour vinto con la sua abilità sulle pietre di Roubaix, di solito per corridori di masse muscolari ben diverse. Scalatore e buono a cronometro, meglio a inizio carriera che negli ultimi anni, senza lo sprint per vincere in arrivi non solitari.
Qualcuno inizierà a pensare cosa ci sia stato tra Gimondi e lui…beh diciamo Pantani, senza gare di un giorno e senza Vuelta, Francesco Moser, fenomenale nelle gare di un giorno, una valanga di successi, un Giro vinto e una sola presenza al Tour, il suo rivale Beppe Saronni, poco “estero”, Gianni Bugno, classe pura, un solo Giro, podi al Tour e 2 Mondiali, Bartoli e Bettini, ma le corse a tappe?, Mario Cipollini, il suo contrario, discesa esclusa…Insomma questi sono i nomi che ci hanno emozionato, accompagnato, e i paragoni sono inevitabili come le preferenze. Il curriculum però parla chiaro e per Vincenzo parlerebbe chiarissimo se non fosse scivolato con caduta all’Olimpiade del 2016 a Rio de Janeiro, una corsa praticamente vinta, o se avesse saputo aggiungere il Mondiale in casa a Firenze nel 2013. La sua qualità migliore? Forse l’istinto, cogliere l’attimo, nei momenti decisivi di un Giro o di un Tour, nel finale di una Milano-Sanremo, quel saper leggere le situazioni anche con astuzia da uomo del sud abituato a districarsi dai problemi senza dover aspettare che un altro te li risolva, a patto di avere la gamba giusta…
Un difetto? Non essere un personaggio che “buca”, che trascina, che sa uscire dal suo sport, con un curriculum così forte. Per carità Cipollini si nasce, Pantani si diventa e non sempre vincere è decisivo, vedi Poulidor, nonno di Mathieu Van der Poel, otto volte sul podio e mai primo al Tour de France, popolarissimo anche dopo la sua scomparsa. Cosa farà da grande Vincenzo? Analista del giro per la tv? Possibile, telecronista più difficile. Direttore sportivo? Troppo ingombrante, visto il solito curriculum, e troppo presto. Procuratore? Potrebbe anche essere però deve andare a bottega, a imparare. Pensionato sul Lago di Lugano? Non scherziamo e non per i 38 anni, perché Vincenzo è un agonista, uno di quelli che ama la sfida, che ha sempre voluto vincere, avere un record, anche in allenamento, qualcuno da battere, anche quando uscirà con gli amici, Perché la bici non è lavoro, è passione. E se metti la ruota davanti stai meglio.
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