L’ucraino, ex ciclista professionista (3° al Giro d’Italia nel 2003), ha raccontato gli ultimi mesi difficili: “Quando è iniziata la guerra ho pensato di prendere il fucile, poi ho trovato un altro modo per aiutare il mio popolo. Ho preso un furgone, fatto raccolte di beni di prima necessità e ho viaggiato per portarli al confine. L’attenzione mediatica sta calando, ma serve ancora aiuto”. Venerdì sarà in ammiraglia al Giro d’Italia, con la sua Trek-Segafredo
“Ogni volta che vado negli Emirati Arabi Uniti succede qualcosa, non ci torno più”. Scherza Yaroslav Popovych. Ride per smorzare la tristezza. Due anni fa era lì con la sua squadra – la Trek Segafredo, di cui è direttore sportivo -, quando scoppiò la pandemia. Due mesi fa, nello stesso periodo, è scoppiata la guerra in Ucraina, il suo Paese. “È dal 2014 che c’è un conflitto con la Russia, nei territori del Luhansk e Donetsk, ma non mi sarei mai aspettato che avrebbero invaso l’Ucraina dalla Bielorussia per andare verso Kiev, anche se un po’ di tensione si era avvertita. Il 24 mattina (giorno in cui è iniziata l’invasione, ndr), appena svegliato sono entrato in ascensore e ho trovato il mio corridore Emil Liepins. È stato lui a dirmi che era iniziata la guerra. All’inizio gli ho detto: ‘Ma cosa stai dicendo?’, ero ancora mezzo rimbambito dal sonno. Poi ho aperto il telefono, ho letto le news e ho scoperto che era vero. Da lì non ho più mangiato e sono tornato in camera. Ho iniziato a sentire i miei amici ucraini nei nostri gruppi whatsapp: tutti dicevano di prendere le loro cose e scappare. È stato terribile”.
Il racconto di Popovych di quei giorni prosegue: “Il giorno stesso dello scoppio della guerra, Luca Guercilena (Team Manager della Trek Segafredo, ndr) mi ha chiamato per dirmi che se avessi voluto subito tornare a casa mi avrebbe lasciato andare, ma sono rimasto fino al 28, tanto non avrei potuto far niente in quel momento. Però è stata molto dura. Non smettevo di leggere news e vedere i telegiornali di giorno e notte. Dormivo solo tre ore. Poi ho iniziato a pensare a cosa fare: la prima idea è stata di prendere il fucile e andare a difendere il mio Paese. Ho chiamato qualche mio amico nei piani alti in Ucraina, e gli ho detto: ‘Vengo al fronte’. Mi hanno detto che non sarebbe servito, perché si poteva fare affidamento sull’esercito di professionisti, ma mi hanno chiesto se in Europa, con le mie conoscenze, avessi potuto fare qualcosa. È così che ho iniziato a fare viaggi con il furgone fino al confine per portare beni di prima necessità. L’ho fatto per sei volte. Le raccolte le facevo in tutta la Toscana, grazie ad amici e non solo. Caricavo tutto nel furgone e andavo in Ucraina. In tanti mi chiedevano perché andassi io e perché non lasciassi il materiale a qualche organizzazione. Il problema è che spesso non si sa dove va a finire quella roba. Ho preferito portarla di persona“.
Popovych ha amici e parenti in Ucraina, ma per fortuna la sua regione non è tra quelle più colpite: “Sono stato fortunato. La zona dove sono cresciuto io è vicina all’Europa ed è stata una zona più tranquilla. Il confine vicino con l’Europa ha ridotto il rischio di bombardamento: se un missile russo, per esempio, fosse finito al di là dal confine, sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale. Per questo la regione è stata un po’ risparmiata. Eppure, vicino c’è stato un attacco a un aeroporto alle 7:30 della mattina del 24 febbraio, con tre missili. A un km da lì abita mio padre ed è lì dove sono nato io. C’è stato un morto e hanno distrutto un po’ di edifici militari. La figlia di mia sorella invece si trovava a Ivano-Frankivsk, per studiare. Anche lì hanno bombardato l’aeroporto e lei è stata quattro ore nei seminterrati per nascondersi. Poi ho un carissimo amico che è partito per il fronte con il fucile ed è sempre in prima linea”.
Popovych ha riconosciuto l’impegno e l’aiuto dell’Italia, anche se il timore è che l’interesse nei confronti del popolo ucraino diminuisca col passare dei giorni e delle settimane: “L’Italia ha fatto tanto per l’Ucraina e anche dallo Stato stanno arrivando tanti aiuti. Adesso si è spento un po’ il rumore mediatico e i volontari stanno un po’ diminuendo. Ma è una cosa normale. Ora siamo rimasti quasi solo noi ucraini o parenti di ucraini, o amici che abitano qui, a continuare a fare iniziative dirette. Lo capisco che per le persone che non vivono da vicino questa guerra sia difficile continuare ad aiutare, non voglio accusare nessuno. Ma se potete: ci sono tanti profughi ucraini in Italia e c’è da aiutare anche loro, perché hanno due vestiti addosso e nient’altro. E sono qui da due-tre settimane. Ora servono cibo e vestiti estivi perché hanno solo materiale invernale. Però dico una cosa: non scaricate i vostri armadi solo per farlo e per avere la coscienza a posto. Se avete vestiti rotti, non dateceli perché noi perdiamo tempo a smistarli e loro non possono neanche usarli. Se gli indumenti sono consumati e finiti, buttateli via. Meglio comprare qualcosa da mangiare e portarle nei punti di raccolta“.
Dopo aver interrotto con il lavoro, causa forza maggiore, Popovych tornerà in ammiraglia. Sarà lui a guidare la Trek-Segafredo, al Giro d’Italia che parte venerdì: “Negli ultimi due mesi non ho neanche guardato una corsa intera. Ho visto gli ultimi 2/3 km della Roubaix e qualcosa delle altre, ma solo se c’erano i nostri corridori. Ultimamente comunque ho riniziato a seguire un po’ meglio, prima zero. Non riuscivo. I miei colleghi mi hanno chiesto se volessi prendermi ancora del tempo, e li ringrazio davvero, ma ora sono contento di tornare nel mio ambiente e alle corse. Mi è mancato tutto questo: mi farà bene. Poi, quando il Giro sarà finito, tornerò in Ucraina e farò altri viaggi”. Il capitano della Trek sarà Ciccone: “Vedremo strada facendo e giorno dopo giorno. L’anno scorso era andato bene fino alle ultime tappe, dove è caduto. Speriamo che possa tornare a far bene, senza essere colpito dalla sfortuna. Già dalla quarta tappa, quando il Giro arriverà sull’Etna, credo che inizieremo a vederne delle belle“.
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