“Miles smiles” era il titolo di un ottimo album del 1966 di Miles Davis, che in copertina mostrava, fatto rarissimo, i suoi bianchissimi denti. Anche Ettore Messina da sabato sera sorride. L’immagine del coach quasi sempre serio ha lasciato il posto a quella di un uomo la cui espressione ora è un misto di orgoglio, allegria, soddisfazione, felicità. La sua Milano in gara 6 delle finali ha letteralmente devastato la Virtus, tramortita tatticamente, atleticamente e psicologicamente da un gruppo i cui meccanismi difensivi hanno tolto ogni certezza a campioni assoluti come Belinelli, Teodosic, Weems.
Messina sorride, regalando persino una delle sue micidiali battute. Perché, dietro ogni persona all’apparenza troppo seriosa, si nasconde spesso un inaspettato umorista.
Messina, tra il 4-0 subito dalla Virtus lo scorso anno e il trionfo di sabato scorso, con quali sensazioni ha convissuto?
«Ho fatto mie le parole di Melli, che prima di questi playoff ha detto: “Qui non giochiamo per ottenere delle vendette, ma per vincere”. Queste parole mi hanno colpito: se ti nutri di sentimenti di rivalsa, magari nel breve periodo stai bene; ma alla lunga ti logori. Per questo abbiamo tutti pensato solo a guardare avanti, a partire dalla proprietà. Io sinceramente non ho mai visto un ambiente come il nostro dove, si vinca o si perda, si reagisce con la stessa serenità. E, ovviamente, anche con una fortissima capacità di autocritica. Per questo abbiamo fatto qualche correzione alla squadra: così abbiamo vinto la Coppa Italia e lo scudetto, e siamo arrivati terzi in Eurolega. Resto convinto che al completo ce la saremmo giocata fino in fondo con l’Efes nei playoff».
Cosa ha di differente questa formazione rispetto alle altre con le quali lei ha vinto tre tricolori con la Virtus e uno con Treviso?
«Progressivamente abbiamo avuto la fortuna di poter aggiungere profondità, talento, e pure senso di identità. Soprattutto la comprensione che il campionato italiano è difficile e molto importante».
Le dichiarazioni dei dirigenti virtussini sugli arbitri sono state più uno stimolo per Milano o più un boomerang psicologico per gli stessi giocatori bolognesi?
«Non ho alcuna voce in capitolo per parlare dei virtussini. Per noi non è stato un stimolo, quanto la sensazione che loro potessero non sentirsi così invincibili».
Ma lei si sente davvero il grande seduttore della classe arbitrale? I direttori di gara hanno sul serio una sudditanza psicologica nei suoi confronti?
«Io riesco a malapena a tenermi stretta mia moglie, figurarsi se ho le energie per sedurre gli arbitri…».
Nonostante tutte le polemiche, l’essenza del basket è stata rappresentata sabato da Hines che consolava abbracciandolo un Jaiteh in lacrime. Concorda?
«Questo è ciò che mi fa dire: “Sono fortunato ad avere nella mia squadra un campione come Hines (il pivot ieri ha firmato per un’altra stagione con l’Armani, ndr). E’ un gesto che rappresenta al meglio come vorremmo essere come club, come tifosi, come organizzazione».
Cosa ha detto di nuovo questa finale al mondo del basket?
«Ha confermato che se riesci ad avere una difesa energica come la nostra, visto che siamo riusciti a tenere ad un minimo storico campioni come Belinelli e Teodosic, e nel contempo la abbini al contropiede, diventi una macchina difficile da fermare. Noi nei playoff, quando c’è sempre più tensione, siamo riusciti ad andare più veloci rispetto alla normalità».
Il roster dell’Armani verrà stravolto per la prossima annata? I nomi in arrivo sono quelli di Brandon Davies, Billy Baron, Pangos e Mitrou-Long…
«Proprio stravolta no, perché ci saranno scelte doverose, come quella fatta con la conferma di Hines (anche resteranno Melli, Hall e Shields, ndr). Stiamo aspettando una decisione di Rodriguez (che, a meno di clamorose quanto improbabili sorprese, tornerà al Real Madrid, ndr). E parleremo con Datome, sperando che continui ad essere dei nostri».
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