Federico Buffa torna con il secondo appuntamento per raccontare lo storico percorso compiuto dalla Nazionale italiana capitanata da Nicola Pietrangeli vincitrice della Coppa Davis 1976. Da oggi disponibile l’ultimo dei due episodi: alle 17.15 e alle 23.45 su Sky Sport Uno, disponibile on demand
LA STORIA DELLE MAGLIETTE ROSSE. FOTO
Nell’anno d’oro del tennis italiano e in occasione delle Atp Finals di Torino, una storia da non perdere, girata nella suggestiva location del training center del torneo, lo Sporting Club del Circolo della Stampa di Torino, proprio sul campo in cui Pietrangeli nel 1961 vinse l’unica edizione degli Internazionali che si disputarono a Torino e non a Roma. Un luogo magico che nel racconto di Federico Buffa rivive grazie alla regia e alla direzione creativa di Leopoldo Muti, realizzata con cura da Massimo Tralci e Luco Longo e arricchita dalle grafiche di Andrea Gilardi e Ilaria De Michele. Appuntamento con il secondo dei due episodi della produzione originale Sky Sport, #SkyBuffaRacconta Davis ‘76-L’altro cammino di Santiago da oggi, venerdì 19 novembre alle 17.15 su Sky Sport Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand.
1976. L’Italia conquista un posto in finale di Coppa Davis, la più importante competizione a squadre di tennis maschile, grazie al suo giocatore più rappresentativo, Adriano Panatta. Per lui è un anno magico: ha vinto gli Internazionali d’Italia e il Roland Garros, i due più importanti tornei su terra battuta.
Col suo tennis spregiudicato, fatto di veroniche alte e volée in tuffo, Panatta colleziona successi sui campi di tutto il mondo. Fuori dal terreno di gioco legge Kafka, veste in modo bizzarro, frequenta Renato Zero e la Bertè. Non è laureato, né è figlio dell’alta borghesia romana, ma sin da bambino gioca a tennis all’esclusivo Circolo dei Parioli, di cui il padre Ascenzio è custode. In un’Italia avvolta dal clima greve degli anni di piombo, In cui la politica ha una dimensione extraistituzionale differente rispetto a quella dei nostri giorni, Adriano, volto copertina, pur senza ostentare opulenza e tanto meno nascondere la sua tessera del Pci, ben rappresenta un simbolo per quanti sentono l’esigenza di cambiamento o semplicemente vogliono scrollarsi di dosso il peso degli avvenimenti dell’epoca. Nel 1976 conquista Roma, casa sua, con una vittoria sentimentale prima ancora che sportiva, poi Parigi, il grande torneo che dà prestigio al suo cammino. È così che da nord a sud deflagra un’esplosiva e contagiosa empatia per il tennis, divenuto all’improvviso sport popolare.
I Cileni hanno conquistato la finale per il rifiuto dell’Unione Sovietica di disputare la semifinale contro la squadra di uno Stato di cui non intende legittimare il governo fascista. Il Cile infatti, è sotto la guida del generale Augusto Pinochet, salito al potere solo tre anni prima, grazie al golpe dell’11 settembre, la triste data impressa nei libri di storia, quando asserragliato nel palazzo de La Moneda il Presidente Salvador Allende perse la vita. La finale di Coppa Davis del ‘76 si dovrà disputare a Santiago del Cile, sul campo centrale del complesso dell’Estadio Nacional, lo stadio dove nel 1973 Pinochet aveva tenuto prigionieri gli oppositori del colpo di stato.
In un clima tutt’altro che disteso, in cui la contrapposizione tra Unione Sovietica e Stati Uniti genera moti e pulsioni tra i tanti giovani che, da sinistra e da destra, partecipano attivamente alle vicende sociopolitiche mondiali, la situazione cilena si pone in forte parallelismo con quella italiana: due Paesi sotto l’egemonia americana, dove una maggioranza di sinistra è stata fatta cadere. Al grido di: “Non si giocano volée con il boia Pinochet” e “Panatta milionario, Pinochet sanguinario”, le vie e le piazze delle città si animano contro i giocatori. Giornalisti e artisti si schierano. Enzo Biagi scrive sul Corriere che: “Ci sono armi migliori delle racchette per abbattere le dittature”. Ugo Tognazzi rilascia interviste in cui si esprime a favore della trasferta, Domenico Modugno addirittura compone una ballata contro:
“La sorte della Coppa è controversa,
c’è chi ci vuole andare e viceversa,
io sono per il no, eppure poi…”
In Italia il dibattito infiamma. Partecipare o non partecipare? Battere il tiranno in casa sua o non dargli soddisfazione? Giusto o sbagliato andare a lottare sportivamente in nome dell’Italia a pochi metri dallo stadio in cui solo tre anni prima erano stati concentrati e torturati migliaia di antifascisti? Questi gli interrogatori a cui rispondere. Il 27 novembre del 1976, a meno di 15 giorni dalla partenza, in prima serata il Tg1 della Rai dedica alla vicenda uno speciale di un’ora condotto da Arrigo Petacco, il cui titolo riassume tutto: “Cile o non Cile”.
Nicola Pietrangeli, il più vincente tennista italiano della storia, capitano non giocatore della nostra Nazionale, nonostante abbia addirittura ricevuto minacce di morte, non ha dubbi: l’Italia può finalmente vincere quel titolo che a lui in carriera era sfuggito per ben due volte e deve partecipare, ma la decisione ultima non può essere lasciata ai giocatori. A pochi giorni dalla finale, sarà sempre Pietrangeli ad affidare al microfono di un giovanissimo Giampiero Galeazzi tutti i dubbi, le speranze e soprattutto le certezze sulla partecipazione azzurra alla finale di Santiago. Mai in età repubblicana una vicenda sportiva si è insinuata tanto prepotentemente nel contesto politico e ha vissuto e assunto simili risvolti. Alla fine, vinsero coloro che quella finale la volevano combattere. Chissà che in fondo non avessero ragione loro.
Capita a volte, in una partita di tennis, che la palla colpisca il nastro.
Decide lei. Può andare oltre o tornare indietro.
Da una parte o dall’altra.
Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince.
Oppure no, e allora si perde.
Nel 1976 agli Italiani capitò pressappoco così.
Col mondo in bilico su una cortina di ferro,
per un istante sul filo, da una parte o dall’altra.
Noi andammo oltre e contro tutto e contro tutti vincemmo.
Oppure no…
Nonostante il successo raggiunto, all’aeroporto di Fiumicino l’accoglienza sarà quasi impercettibile. Pietrangeli ricorda una decina di persone, soprattutto addetti dello scalo aeroportuale e qualche fotografo, nulla di più. Nessun commento per il gesto di Panatta e Bertolucci, nessuna nota sulle magliette rosse. La Rai non trasmise l’evento in diretta, le poche immagini a colori di Gigi Oliviero, andato in Cile a sue spese, restano l’unico straordinario documento di quello storico cammino compiuto dalla Nazionale italiana, capitanata da Nicola Pietrangeli e composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e Corrado Barazzutti, con l’allenatore Mario Belardinelli.
Una vittoria che non venne mai celebrata né dai tifosi, né dai giornali, se non per qualche trafiletto di cronaca sportiva. L’Italia del tennis aveva compiuto una grande impresa, conquistando meritatamente la sua prima e, a oggi, ultima Coppa Davis, un trionfo ingenerosamente dimenticato. Nell’anno d’oro del tennis italiano e in occasione delle Atp Finals di Torino, una storia da non perdere, girata al training center del torneo, lo Sporting Club del Circolo della Stampa di Torino, proprio sul campo in cui Pietrangeli nel 1961 vinse l’unica edizione degli Internazionali che si disputarono a Torino e non a Roma.
Episodio 2 da venerdì 19 novembre 2021 alle 17.15 e alle 23.45 su Sky Sport Uno. Entrambi gli episodi saranno visibili il 19 novembre dalle ore 21.15 su Sky Documentaries. Disponibili anche in streaming su NOW e on demand su Sky Q alla sezione #SkyBuffaRacconta.
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