F1, Da Stroll a Mazepin: quando essere ricchi diventa una colpa!

L’ipocrisia e il cosiddetto “doppiopesismo” sono due mali che, specie oggi, infestano e infettano ogni spicchio della società contemporanea.

Anche il motorsport trasuda ipocrisia.

Lance StrollNikita Dmitrievič Mazepin: sono questi i nuovi nemici del pubblico appassionato, evidentemente smemorato e poco conoscitore della storia della Formula 1 e dell’automobilismo sportivo nella sua globalità.

La colpa del pilota canadese e del pilota russo è presto detta: essere, come si suole dire, figli di papà.

Papà particolarmente facoltosi. Lance Stroll è, infatti, figlio di Lawrence Sheldon Strulovitch, tra i più ricchi imprenditori oggi in circolazione. Quello stesso Lawrence Stroll dapprima patron della scuderia Racing Point, oggi trasformata in Aston Martin Cognizant F1 Team.

Nikita Mazepin, dal canto suo, è figlio di Dmitry Arkadievich Mazepin, bielorusso, ex militare dell’Unione Sovietica, imprenditore e a capo della Uralchem Integrated Chemicals Company, oggi sponsor — giustappunto — dell’Uralkali Haas F1 Team.

Senza dubbio, Lance Stroll e Nikita Mazepin sono in una botte di ferro, considerato che ai propri padri non mancano denari e potere.

Sembra, tuttavia, che Stroll e Mazepin siano arrivati in Formula 1 dal nulla, per “grazia ricevuta” o in modo non meritato. Non solo: sembra che siano i primi piloti muniti di valigia nella storia della F1. Le cose non stanno esattamente così. Entrambi, infatti, hanno percorso la gavetta comune a tutti i piloti contemporanei: kart, formule propedeutiche, approdo in Formula 1.

Stroll lo ha fatto vincendo il Campionato Italiano di Formula 4 (2014) e conquistando il titolo di campione europeo di Formula 3 (2016). Nel 2017, il canadese milita in F1, categoria nella quale — pur avendo sempre corso con vetture non di primissima fascia — ha ottenuto 3 podi ed 1 pole-position.

E non è il conto in banca a farti conquistare una pole-position in F1…

Mazepin, invece, ha scorrazzato in lungo e in largo nelle formule propedeutiche (nel 2018, è 2° in GP3). Nello scorso 2020, ha ottenuto il 5° posto finale nel FIA Formula 2 Championship, riportando anche 2 vittorie, pari a quelle conseguite dall’osannato campione (anch’egli — è un dato di fatto — figlio di papà e per nulla squattrinato…) Mick Schumacher.

Mai così tanto odio (e invidia) è stato riversato addosso a due piloti nella storia della Formula 1. Colpevoli di essere ricchi, quindi paganti, quindi — secondo una errata equazione — buoni a nulla.

Si parta da un presupposto: tutti i piloti, di ieri, di oggi, di domani, di F1 e non, pagano. Chi più, chi meno, tutti contribuiscono alle casse del team, tutti — per così dire — si “comprano” un volante e portano sponsor. Dai campioni ai piloti meno talentuosi.

Sembra, a leggere e sentire certi appassionati e addetti ai lavori, che Stroll e Mazepin siano i primi piloti ricchi e privilegiati nella storia della F1. Un postulato, ovviamente, più che mai falso.

I piloti provenienti da famiglie particolarmente agiate hanno sempre caratterizzato il motorismo sportivo, dalle ruote coperte alla F1. Nobili, principi, figli di noti imprenditori, figli di politici, figli o parenti di importanti militari (ricordiamo Manfred von Brauchitsch, nipote del generale tedesco Walther Heinrich Alfred Hermann von Brauchitsch) o piloti essi stessi imprenditori i quali, grazie alle proprie risorse finanziarie, hanno potuto soddisfare la sete di passione per le corse automobilistiche.

Esempi? Dovremmo elencare l’enciclopedia dei piloti, professionisti e non. Impossibile.

Ne citeremo solo alcuni; nomi sparsi qua e là, balzando di epoca in epoca, di Nazione in Nazione. Pochi, lampanti esempi di piloti decisamente paganti ma, non per questo, non validi. Anzi, stiamo parlando anche di autentici campioni.

Prince Birabongse Bhanudej Bhanubandhpiù comunemente noto col nome di Prince Bira of Siam (oggi Thailandia). Altro che Stroll e Mazepin: qui stiamo parlando di un membro della famiglia reale dell’allora Siam!  Con i canoni moderni, un simile personaggio sarebbe preso per i fondelli sui social e messo alla gogna mediatica.

“Un membro di una famiglia reale in F1? Giammai, scandalo, vogliamo piloti figli di persone povere, loro sì che sono veri campioni!”, griderebbe il mondo social.

Ma nel 1950, un nobile che si cimenta in F1 è la normalità. Ed il principe se la cava egregiamente.

Tra il GP di Gran Bretagna 1950 ed il GP di Spagna 1954, Prince Bira partecipa a 19 GP iridati al volante di Maserati, Simca-Gordini e Connaught. Tra i migliori risultati, ricordiamo il 5° posto al GP di Monaco 1950 e i due quarti posti colti rispettivamente ai GP di Svizzera 1950 e Francia 1954.

Dal Siam ai Paesi Bassi il passo è breve. Jonkheer Karel Pieter Antoni Jan Hubertus (Carel) Godin de Beaufort è uno dei volti ricorrenti della Formula 1 Anni ’50 e ’60. Il suo nome è indissolubilmente legato al Marchio Porsche. Nobile, aristocratico, ricco.

Per il nobile olandese, 26 GP in F1 a partire dal GP d’Olanda 1958. Porsche, Maserati, Cooper e, soprattutto, la celebre Ecurie Maarsbergen a far da cornice alle sue iconiche Porsche. Già, Maarsbergen: il nome della tenuta di campagna dei De Beaufort.

Il nobile olandese ottiene, nonostante non sia un pilota particolarmente talentuoso, buoni risultati, finendo spesso nella “top 10” e, in quattro occasioni, a punti. Morirà nel corso delle prove del GP di Germania del 1964, al Nürburgring, al volante della Porsche 718.

Di nobile in nobile. Wolfgang Alexander Albert Eduard Maximilian Reichsgraf Berghe von Trips. Sì, quel von Trips. La sua carriera è ricca quanto i suoi averi, dall’alto delle sue origini nobiliari, sponda Rhineland.

Tanto ricco quanto veloce. Von Trips partecipa a 27 GP effettivi di F1, tra il GP di Argentina 1957 ed il fatale GP d’Italia 1961. Talmente ricco ma veloce che ha sempre potuto concedersi il meglio, ossia correre per la Scuderia Ferrari, in F1 e in Endurance. Eccezion fatta per i GP di Monaco 1959 (Porsche 718) e USA 1960 (Cooper T51-Maserati, Scuderia Centrosud), il forte pilota tedesco ha sempre corso in F1 al volante di ufficiali monoposto di Maranello.

2 vittorie, 1 pole-position, 6 podi complessivi, un titolo mondiale perso per un fatale incidente: niente male per un ricco nobile figlio di papà…

Anni ’80, i nobile vanno ancora di moda. John Colum Crichton-Stuart, 7th Marquess of ButeEarl of Dumfries. Per tutti, è Johnny Dumfries. Scozzese, nobile, pilota. La residenza di famiglia è la sontuosa Mount Stuart House: un villone degno di un documentario sulla nobiltà del Regno Unito.

Nobile, ricchissimo, vince in F3 britannica, convince nella F3 europea, il passaggio in F3000, quindi la F1, vissuta solo per pochi GP. Prende parte a 15 GP iridati: siamo nel 1986 e la vettura è la Lotus 98T del John Player Special Team Lotus. Il miglior risultato coincide con il 5° posto al GP di Ungheria. Nel 1988, ecco il trionfo più importante della sua carriera: assieme a Martin Brundle e Jan Lammers, si aggiudica la 24 Ore di Le Mans al volante della Jaguar XJR-9 LM.

In quel 1986, Dumfries è in squadra con Ayrton Senna. Già, Senna: un campionissimo come pochi (anch’egli balzato dalla F3 alla F1) ma, come tutti, munito di lauto portafogli, sempre bene in vista quando si è trattato di far valere la propria posizione dominante a svantaggio dei propri (spesso ingombranti) compagni di team.

Senna, a riguardo, faceva parte di quelle famiglie brasiliane di origini europee benestanti. Il padre, Milton Da Silva, era imprenditore e a capo di importanti fattorie.

Dumfries, Senna, Elio De Angelis: tre nomi e tante cose in comune. Tra esse, l’aver militato in Lotus e… i soldi. Anche il buon Elio — il Pilota Gentiluomo — proviene da una famiglia facoltosa. Il padre, infatti, è un campione di motonautica (sport proverbialmente per facoltosi) nonché noto costruttore.

Professionisti o gentleman driver, i piloti non si fanno valere solo col piede destro, ma anche a suon di bigliettoni, assegni e bonifici. Del resto, bando alle ciance: i soldi fanno girare il mondo. Motorsport compreso.

La storia vuole che Niki Lauda abbia iniziato a correre grazie ai prestiti delle banche. Appunto, le banche: potranno mai le banche negare soldi al rampollo di una delle famiglie di banchieri viennesi più influenti?

Figli di papà, rampolli di famiglia: la storia delle corse, di ieri, oggi e domani, ne è piena.

Peter Jeffrey Revson rappresenta l’ennesimo esempio di Stroll o Mazepin dei tempi che furono. Peter, infatti, è figlio di Martin Revson, imprenditore statunitense che, assieme al fratello Charles, fonda la Revlon, nota multinazionale della cosmesi. Quello stesso Martin che, lasciata la originaria compagnia, andrà a fondare altre aziende del settore, su tutti la Maradel Products/Del Laboratories.

A Peter Revson, dunque, i soldi non mancano. E nemmeno il talento. Tra il GP del Belgio 1964 ed il GP del Brasile 1974, Revson prende parte a 30 GP iridati effettivi, ai quali si aggiungono una non-qualificazione ed una non-partenza.

Il bottino di Revson è eccellente: 2 vittorie, 1 pole-position, 8 podi complessivi. Si destreggia al volante di Lotus 24 e 25 motorizzare BRM (Reg Parnell Racing e iscrizioni a titolo personale), Tyrrell 001-Cosworth, McLaren M19A, M19C e M23 Yardley Team McLaren (il figlio del fondatore della Revlon con vettura sponsorizzata Yardley of London quando si dice l’ironia della sorte…) e Shadow DN3.

Carriera intensa e poliedrica quella di Revson, il quale ben si presta ad ogni competizione: F1, USAC, Indy 500 (2° posto nell’edizione del 1971 su McLaren-Offy), Can-am (titolo vinto nel 1971 su McLaren-Chevrolet), Sport-Prototipi (famoso il 2° posto alla 12h di Sebring del 1970, su Porsche 908, condiviso assieme a Steve McQueen). Troverà la morte a Kyalami, il 22 marzo 1974, durante alcuni test in previsione dell’imminente GP del Sudafrica del 30 marzo.

Soldi, tanti soldi. Per arrivare in F1 servono soldi, anche sporchi. Letteralmente sporchi. Come quelli legati al pilota colombiano Ricardo Londoño. Un pilota provvisto di discrete doti: la gavetta in America, poi le gare IMSA, il British Formula One Championship (Aurora AFX F1 Championship), quindi la chiamata della Ensign — a seguito, sembra, di ottimi test — per prendere parte al GP del Brasile 1981 al volante della N180B-Cosworth.

Londoño, però, non possiede la superlicenza per correre in F1. Ma c’è di più. Sull’auto di Londoño campeggia la scritta “Colombia”, un nome, tuttavia, non riconducibile ad alcuno sponsor. La storia (tra realtà e leggenda) narra che dietro a quel nome ci fossero i cartelli della droga colombiani e che sia stato Bernie Ecclestone a scoperchiare l’indicibile verità, allontanando dal circus iridato il colombiano. Terminata la propria carriera agonistica, Londoño torna in Patria, aderendo al Cartello di Medellín, uno dei più importanti centri di spaccio di droga al mondo.

Morirà, ucciso, il 18 luglio 2009.

Soldi, soldi e ancora soldi. La F1 non è terra di beneficienza né di squattrinati.

Vogliamo dare la croce a Stroll e Mazepin in quanto piloti ricchi e più arroganti dei già arroganti piloti di F1?

Il portafogli, pieno o vuoto che sia, non determina e mai ha determinato la competitività di qualsivoglia pilota. Ma oggi regna l’equazione che vuole il pilota “squattrinato” (che, ribadiamo, non esiste) più veloce e meritevole dello Stroll o del Mazepin di turno.

Perché, dunque, accanirsi contro lo Stroll ed il Mazepin di turno e, al contempo, deificare il Mick Schumacher di turno, pilota che porta in dote — oltre a qualità di guida, in F1 tutte da scoprire al pari di Mazepin — anche un cognome che vale milioni di Euro e volanti garantiti?

La F1 non è terra di e per proletari, bensì di giovani milionari a cui piace correre in auto.

E bene intesi: il responso della pista non bada al conto in banca.

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/nVXxt5OtOto/f1-da-stroll-a-mazepin-quando-essere-ricchi-diventa-una-colpa.php

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