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Le interviste hanno tutte una genesi. Nascono con un obiettivo, terminano spesso con altro. Capita di prenderci la mano, di lasciarsi andare, di entrare in empatia con colui che ti trovi davanti, o di concludere la chiacchierata con un grosso punto interrogativo sulle aspettative insoddisfatte.
Con Giacomo Raffaelli, fresco di rinnovo a Poitiers, nello Stade Poitevin, è stato un viaggio, breve ma emotivamente faticoso. Perché il ragazzo che quest’anno ha incantato la Francia e che a 23 anni vinceva una Challenge Cup con la Bunge Ravenna, ha percorso questo viaggio andando oltre la sua avventura francese e italiana, e parlando di sé e di una vittoria individuale che ha un valore inestimabile, per lui e per coloro i quali hanno vinto con lui una battaglia giocata fuori dal campo.
Lo scorso anno decide di trasferirsi nel campionato francese.
“”.
È stato difficile adattarsi al campionato d’Oltralpe?
“”
Perché ha scelto di rinnovare?
“”.
Cosa non funziona in Italia?
“”.
Pare che il prossimo anno il campionato francese avrà degli ottimi innesti.
“”.
“”.
Piacenza e poi Club Italia. Esperienze importanti?
“”.
Le manca quell’atmosfera un po’ da gita scolastica che ha respirato a Ravenna?
“”.
La notte della Challenge, ad esempio?
“ (ride, n.d.r.)”.
Non essere più nel campionato italiano rappresenta un minus per la sua carriera?
“”.
Quanto è importante la nazionale per lei?
“”.
Quali sono stati i momenti difficili della sua vita?
“”.
Come sta, Raffaelli?
“”.
Ed ora?
“”.
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