Robin Soderling confessa: “Ero depresso e con attacchi di panico, cercai su Google come suicidarmi”

Robin Soderling ha raccontato alcuni dei momenti più bui della sua vita in un’intervista concessa alla radio pubblica svedese – e riportata dal quotidiano spagnolo AS. L’arrivo della fama, la finale a Parigi, la pressione, la scoperta della mononucleosi. Un vortice perverso che l’ha forzato ad interrompere l’attività, senza mai riuscire a tornare. Mesi e mesi passati tra depressione, ansia, paure e attacchi di panico.

“Vivevo in uno stato di ansia costante, mi rodeva da dentro. Finivo per sedermi nel mio appartamento, guardando nel vuoto con la testa altrettanto vuota. Bastava il più piccolo rumore per farmi paura e far scattare l’attacco di panico, come una lettera che cadeva sullo zerbino finendo a terra, o quando suonava il telefono nel silenzio, avevo paura di tutto”.

I primi attacchi di panico arrivarono già nel 2009, dopo aver giocato la prima delle sue due finali consecutive a Roland Garros. L’attesa dei successi ha aumentato la pressione su di lui, accentuando i problemi. “C’erano solo tre giocatori con cui potevo perdere, il resto dovevo batterli, se non mi sentivo male. Altrimenti fallivo, un perdente”.

Nel luglio 2011, dopo aver battuto David Ferrer nella finale degli Swedish Open, è tornato a casa a Monte Carlo e ha iniziato a cadere in quello che definisce “un abisso nero senza fondo”, un malessere che è peggiorato un mese dopo, prima di giocare gli US Open. “Sono stato preso dal panico, ho iniziato a piangere e non riuscivo a smettere. Sono tornato in hotel e mi sono buttato sul letto, ogni volta che pensavo di andare in campo, entravo in panico. Per la prima volta ho sentito che, indipendentemente da quanto volessi, non potevo, nemmeno se mi avessero puntato una pistola alla tempia. Sono arrivato a cercare su Google un modo per uccidermi… Non avevo davvero intenzione di farlo, ma in quel momento qualsiasi cosa era meglio di quella vita d’inferno”.

Secondo Soderling, il tennis è una professione estremamente stressante e che richiede un’enorme forza mentale, ma non c’è ancora una forte presa di coscienza di quanto sia importante lavorare con dei professionisti della psiche, non tanto per migliorare la prestazione quanto per restare in salute come individui: “Raramente si parla di problemi psichici nell’élite sportiva mondiale, questo è il motivo per cui ho voluto parlarne. Raccomando ai tutti i giocatori e alle famiglie dei giovani, di prendersela con calma, di non perdere la prospettiva della vita reale una volta entrati nel vortice del tennis”.

Marco Mazzoni


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