Caro Gianni, tanti auguri. E grazie di tutto. Perchè qualunque cronista che oggi si aggiri per i campi di tennis, in giro per i tornei, è stato influenzato da te. Lo sai bene: un tuo solo articolo è stato sufficiente per essere carpiti da quel modo tutto tuo di raccontare il tennis.
Caro Gianni, ci hai insegnato che la racchetta è un palcoscenico, sul quale i giocatori mostrano l’anima di cui sono fatti, e ce lo hai mostrato in modo impareggiabile superando la realtà, mettendola in scena, disegnandola come fai su quei tuoi notes. E non sono: ci sono aneddoti spettacolari che descrivono, e definiscono, il Clerici style: Bud Collins, un altro grandissimo maestro – un tuo caro amico – mi raccontò di una vostra avventura che ebbe inizio a Como e si concluse in Sardegna: “Per un match di Coppa Davis. Una sera, dopo cena, Gianni guidava la macchina a noleggio, e si fermò perché aveva visto un manifesto elettorale. Urlava: ‘Io odio quel partito, il movimento sociale sono i nuovi fascisti’. E cosa fa? Si arrampica lungo il palo come una scimmia, forse l’effetto della grappa oppure no: ad ogni modo lui raggiunge velocemente la cima e, pian piano, tolse quel manifesto elettorale e poi cercò un sarto per farne un pantalone. Da allora l’ho chiamato “l’italiano pazzo””.
C’è tanto di te in questo ‘nanetto’ che ha poi fatto il giro del mondo e che cambiava versione a seconda di chi lo ricordava, Clerici/Collins/Tommasi (c’è anche lui, ovviamente). Le tue mosse, le tue finte, le tur gabole, le maschere: sei nato affabulatore, il tuo è sempre uno spettacolo, una scuola. E i tuoi cosiddetti teatrini in sala stampa – come li hai sempre chiamati tu – sono sempre stati allestiti con una cura infinita.
Per questo, lo sappiamo, esiste il Clerici pubblico un po’ clown e un po’ diva che si diverte a prendere in contropiede, in controtempo, il pubblico nascondendosi dietro l’intelligenza e il disincanto. Poi c’è quello più intimo, affettuoso, capace di essere un monaco zen o un gentleman di campagna alla bisogna.
Wimbledon è un altro discorso, un’altra storia. Il tuo torneo. Anche lì hai segnato la strada, per dire: stanco del chiacchiericcio italiano in sottofondo, hai preteso di spostarti accanto agli americani, unico e solo. Oppure: sei stato il primo di tutti a preferire gli appartamenti agli alberghi canonici dove tutti noialtri alloggiavamo. Per anni hai potuto godere di quella villettina attaccata ai cancelli di Wimbledon e chi si dimentica la tua bici con la quale scorrazzavi per i saliscendi di Wimbledon, anche qui antesignano. Più di una volta ci hai procurato il cibo, nel senso che hai garantito la cena: a tarda sera era inutile, per i comuni mortali, cercare di prenotare un tavolo in un qualsiasi ristorante. Ma non se chiamavi tu: sarà stata la tua voce, la tua inflessione o chissà quale altra pozione, ma magicamente i tavoli si aprivano, soprattutto quelli d’ispirazione etnica: libanese e thailandese in primis.
Potremmo continuare per ore ma, come diresti tu, è meglio non tediare le persone.
E allora, semplicemente e ancora: buon compleanno, Gianni. E altri novanta di questi anni.
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