Tra i tanti successi sportivi della Casa giapponese, quello più “rumoroso” è stato sicuramente la celebre vittoria alla 24 Ore di Le Mans del 1991, ottenuto dalla Mazda 787B a quattro rotori da 710 CV, capace di soggiogare i tradizionali motori a pistoni con un trionfo storico sul circuito francese. Ma non meno eclatante, 10 anni prima, era stata un’altra grande impresa: quella della alla 24 Ore di Spa.
La RX-7 non è stata certo una sportiva qualunque. Di fatto, uno dei modelli più affascinanti e della produzione automobilistica in generale. Emozionale e fuori dal coro, aveva nel motore rotativo il suo stendardo tecnologico; un elemento che la rendeva diversa da qualunque altra. La prima generazione di RX-7 (piattaforma “FB”), uscì in Giappone nel 1978 e l’anno successivo in Europa: un peso a secco poco oltre la tonnellata e i 100-135 CV del 12A (a seconda del mercato) erano il suo formidabile biglietto da visita. La maneggevolezza, poi, era straordinaria, grazie alla disposizione del motore centrale-anteriore, che favoriva una distribuzione del peso ottimale. Tutti questi elementi, uniti ad un’aerodinamica evoluta, regalavano un piacere di guida fuori dal comune. Il 12A da 1.246 cm3 a doppio rotore, in Giappone fu successivamente affiancato dalla versione turbo da 160 CV, mentre in Nord America arrivò un propulsore 13B leggermente più grande a iniezione.
Una sportiva di razza, che per consacrare le sue ambizioni doveva riuscire a battere le avversarie in pista. l successi al British Saloon Car Championship nel 1980 e 1981, lasciavano ben sperare, ma si doveva puntare più in alto. Nel mirino finì la 24 Ore di Spa. La maratona delle Ardenne era sempre stata una gara tanto prestigiosa, quanto dura. Il banco di prova ideale per mettere alla prova la “giovane tecnologia” della RX-7. Che ciò si sia poi trasformato in una vittoria totale contro l’universo a pistoni, fu una cosa quasi da non crederci.
In Europa, tra i più entusiasti sostenitori delle virtù racing del motore rotativo, c’era il giovane Tom Walkinshaw di Kilington, in Inghilterra. Fu lui, insieme a Mazda Belgio, il determinato artefice di ciò che successe. Al momento del via, un equipaggio era formato da Walkinshaw e dal belga Pierre Dieudonné. Su un’altra RX-7, c’era Marc Duez, che si alternava in coppia con tre britannici. Nel corso della gara, la RX-7 riuscì a restare costantemente tra i primi cinque, tenendo il ritmo delle più potenti Capri e BMW. Ma alle 6 del mattino, Dieudonné e Walkinshaw si ritrovarono secondi dietro alla BMW 530i di Andruet. La strategia prevedeva, fino a quel punto, di non superare il limite dei 7000 giri/min. Poi, però, iniziarono ad alzare il livello ad 8000, mettendo la BMW sempre più sotto pressione. Una tattica perfetta: a 90 minuti dalla bandiera a scacchi, complice una sosta di emergenza dei tedeschi, RX-7 prese il comando ed vinse con un vantaggio di due giri. L’altra Mazda, quella di Duez si assicurò un lodevole quinto posto, consegnando così alla Casa di Hiroshima la “Coupe du Roi”, la Coppa del Re, per la classifica a squadre.
Nel mondo delle competizioni internazionali, la vittoria inaugurale di una RX-7 ad una gara di endurance così importante, ebbe una notevole eco. Anche in Giappone rimasero incantati da questo straordinario trionfo. Vari mesi dopo, ad Hiroshima, una delegazione belga fece dono del trofeo dei vincitori, proveniente da Spa, al Presidente della Mazda ed al Responsabile Sviluppo in carica al momento della vittoria: niente meno che Kenichi Yamamoto, il padre del motore rotativo, che a breve sarebbe diventato il Presidente di Mazda.
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